Principale Cultura & Società L’uso dell’arco e della balestra nell’ordine templare

L’uso dell’arco e della balestra nell’ordine templare

di Franco Faggiano *

Parlare di arco e balestra quando si nominano i Templari potrebbe sembrare fuori luogo, ma così non è. Un dato è certo: non era la loro attività primaria, né ludica né bellica né, tanto meno, venatoria. Una chiara indicazione, in tal senso, ci viene proprio data da La Regola del Tempio, l’antica regola dei Templari, ispirata da (San) Bernardo di Chiaravalle alla regola LXVII: “Nessuno colpisca una fiera con l’arco o la balestra – È conveniente camminare in atteggiamento pio, con semplicità, senza ridere, umilmente, non pronunciando molte parole, ma ragionando, e non con voce troppo elevata. Specialmente imponiamo e comandiamo ad ogni fratello professo di non entrare in un bosco con arco o balestra o lanciare dardi: non vada con colui che fece tali cose se non per poterlo salvare da uno sciagurato pagano: ne osi gridare con un cane né garrire; né spinga il suo cavallo per la bramosia di catturare la fiera.”.

Unica eccezione, sembra, alla pratica venatoria: la caccia al leone. Alla regola LXVIII troviamo: “Il leone sia sempre colpito – Infatti è certo, che a voi fu affidato il compito di offrire la vita per i vostri fratelli, e eliminare dalla terra gli increduli, che sempre minacciano il Figlio della Vergine. Del leone questo leggiamo, perché egli circuisce cercando chi divorare, e le sue mani contro tutti, e le mani di tutti contro di lui.”. Da ciò, si possono fare due considerazioni: la prima, è che quest’ultima regola può avere più significati e neanche troppo legati alla pratica venatoria; la seconda, è che è improbabile che i prodi Templari dedicassero molto del loro tempo ad andare a caccia di leoni, vuoi per gli altri compiti più importanti ai quali si dovevano dedicare vuoi perché è da escludere che ci fossero leoni in quantità tali (anche se la presenza è storicamente documentata) da indurli a farlo diventare un passatempo comune e fruttuoso.

Dal quel che si sa, invece, la pratica dell’arcieria nell’Ordine era demandata ai cosiddetti turcopoli, quel manipolo di armati locali, cristianizzati, di provata capacità nell’uso dell’arco a cavallo. Ennio Pomponio, noto studioso e ricercatore templare, al riguardo cita testualmente nel suo libro Templari in battaglia ­: “I turcopoli avevano a disposizione un armamento più leggero; uno scudo rotondo di foggia araba, spade a doppio taglio più corte di quelle della cavalleria pesante, pugnale ed archi. In ciò differivano davvero poco dalla corrispondente specialità araba”. Anche questo, però, non esclude la capacità di altri Templari nell’uso dell’arco (e della balestra).

Soprattutto, quando lo scontro con gli infedeli avveniva a difesa di una roccaforte o di una città. Infatti, sempre al riguardo, Ennio Pomponio riporta nel suo libro già citato: “Archi e balestre erano diffusi nella fanteria. L’importanza di tali armi aumentò via via nel corso delle operazioni belliche, al punto da costringere gli Ordini militari a dotarsi di reparti armati solo di tali ordigni. Lo sviluppo e la diffusione di archi e balestre assumerà proporzioni tali che, insieme all’avvento delle compagnie di ventura, decreterà la fine della cavalleria come arma risolutiva degli scontri (vedere le battaglie di Crecy e Poitiers). Già dalle Crociate, archi corti, long bow e balestre fecero intuire in che direzione si sarebbe sviluppata l’arte di combattere nel prosieguo dei secoli. Non molto preciso né dotato di lunga gittata, l’arco corto in legno di tasso, corda in canapa, lungo circa un metro e mezzo, denunciò subito i suoi limiti e fu soppiantato dal long bow, l’arco inglese: un metro e ottanta circa di lunghezza, generalmente in olmo (ma anche tasso o nocciolo), fu sviluppato dalle fanterie del Galles che ne fecero l’arma base, il cuore dell’esercito inglese.

Mentre l’arco corto orientale, costruito in corno tendine e osso, molto potente, fu l’arco utilizzato sia dai musulmani sia dai turcopoli. L’uso della balestra in Medio Oriente non è merito dei crociati, in quanto le truppe fatimide facevano già uso di tale arma durante il secolo XI, sembra, a loro volta, a d imitazione della fanteria siriana ed irachena. Paradossalmente e possibile che i crociati abbiano appreso l’uso della balestra dai loro disprezzati nemici fatimidi, introducendo poi in Europa dove fu sviluppata in particolar modo in Italia centro-settentrionale ed in Provenza. Tra il personale al soldo del Tempio combattevano formazioni di balestrieri organizzate con tiratori e caricatori per aumentare la cadenza di tiro e ciò malgrado la Chiesa di Roma considerasse tali armi strumenti del maligno sino a proibirne l’uso nelle guerre in Europa (proibizione, c’è da dire, mai osservata da nessuno): <<Essa è odiata da Dio e non deve essere usata contro i cristiani pena l’anatema>>, così si pronunciava Innocenzo II al Concilio Laterano del 1139 a proposito di questa arma. Molto più pericolosa e letale dell’arco, essa era costruita inizialmente in corno o in legno, successivamente in acciaio. La forza di penetrazione dei suoi dardi o quadrelli era impressionante, ma il suo limite era rappresentato dalla ridotta cadenza di tiro. Il meccanismo di ricarica a crocco, infatti, non consentiva più di due tiri al minuto contro i dieci del long bow.”.

Questo, però, non esclude l’utilizzo di altri tipi di archi, in altre zone che non fossero la Terrasanta. Anche in questo caso, viste le esigue notizie che si hanno in merito, nulla è escluso poco è certo, come la storia stessa che accompagna il glorioso Ordine. Immagini di crociati che tirano con l’arco e la balestra dalle mura sono presenti in più iconografie dell’epoca e questo, insieme a qualche traccia trovata da studiosi e ricercatori, permette di evidenziare l’uso di tale pratica, anche se in termini quasi esclusivamente bellici. Più affascinanti, invece, le splendide illustrazioni di Gustave Dorè nell’enciclopedia Storia delle Crociate nelle quali vengono raffigurate, con coinvolgimento quasi mistico, le scene delle battaglie tra crociati e musulmani.

Tuttavia, sia con le iconografie sia con le illustrazioni, ci affidiamo all’abilità e alla fantasia dell’autore in quanto, soprattutto nel passato, difficilmente si poteva contare su testimoni oculari che riuscissero a raffigurare su tela o su carta l’accadimento. Quindi, non sempre riusciamo a scavare nel passato come vorremmo per approfondire quella sete di conoscenza che tutti i cultori, sia di Medioevo sia – nello specifico – di Templari, desiderano appagare.

* Franco Faggiano, arciere dal 1985. Dal 1994 si è dedicato all’archery training e al medieval re-enactment. Nel 1997 ha fondato il sodalizio nazionale Corporazione Arcieri Storici Medievali di cui è l’attuale Presidente. Socio onorario della Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani, Relatore a conferenze e convegni. Ricercatore storico e saggista, fin dal 1988 ha collaborato giornalisticamente con diverse case editrici.

Inoltre, nel 2006, ha pubblicato con la casa editrice Penne e Papiri un libro di saggistica a carattere storico-religioso dal titolo “Arcieria & Cavalleria“.

Blog: https://corporazione.blogspot.com  |https://archerycampus.blogspot.com

Bibliografia:

¬ La REGOLA del TEMPIO, Fabio Giovanni Giannini, Editrice New Style;

­ Templari in battaglia, Ennio Pomponio, Edizioni Penne e Papiri.

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