Principale Arte, Cultura & Società Mistica e fede nella cavalleria medievale

Mistica e fede nella cavalleria medievale

di Franco Faggiano *

Molto si è detto sugli armamenti dei cavalieri, sulle tecniche in battaglia, sull’organizzazione e su tanto altro ancora, ma non sempre ci si è soffermati sugli aspetti di mistica e fede che hanno fortemente caratterizzato la cavalleria medievale e, in particolare, gli ordini cavallereschi nati contestualmente alle crociate. Come dice August Franzen in “Breve storia della Chiesa”: <<Il fondamento religioso del movimento delle crociate è indiscutibile. Le crociate nacquero infatti dalla nuova coscienza comunitaria cristiana dell’occidente, risvegliata dalla riforma gregoriana. Ma oltre a questo motivo squisitamente religioso, nella crociate era presente una forte dose di impeto cavalleresco che talora si sfogò in forme cruente di esaltazione bellica, indegne dello spirito cristiano, tanto da fare di esse gli avvenimenti più crudeli del medioevo. […] La profonda dinamica religiosa, dalla quale scaturì il movimento crociato, generò anche uno dei fenomeni più caratteristici del medioevo: il monaco-cavaliere, vale a dire, la congiunzione del monachesimo con la cavalleria. I tre grandi ordini cavallereschi – Ospitalieri (poi divenuti di Malta), Templari e Teutonici – debbono la loro origine all’immediata esperienza della crociata in terra santa. Oltre ai tre consueti voti monastici – povertà, castità e obbedienza – i cavalieri si assunsero anche nei loro statuti l’impegno di servire i pellegrini esausti e malati e la protezione dei luoghi santi contro gli infedeli. […] Le crociate hanno inoltre influenzato in un modo profondo e durevole la pietà e spiritualità occidentale. I crociati che –  per amore di Cristo – si imbarcarono per la terra santa e ne tornarono, superando infiniti pericoli e disagi, che presero a modello ideale – nella loro peregrinatio religiosa – la povera vita del Redentore crocifero, accreditarono l’idea dell’imitazione di Cristo in povertà e in penitenza, persino nella loro stessa patria. …>>.

Ed è proprio in un’altra grande opera letteraria religiosa del medioevo, che Papa Giovanni definì con grande enfasi – come cita Enzo Bianchi, già Priore di Bose – <<il più caro ed una delle gemme più preziose>>, composta da quattro libri e scritta nel XIII secolo in ambiente monastico, presumibilmente certosino, chiamata appunto “L’imitazione di Cristo”, che troviamo conferma in quanto scritto da Franzen, ovvero il desiderio di raggiungere la perfezione del Cristo, l’obiettivo più intimo del monaco-cavaliere impegnato a difendere la terra santa.

E sempre verso la fine del Trecento, un altro significativo esempio ci viene dal “Libretto della vita perfetta”, scritto da un anonimo Cavaliere Teutonico. Vannini, curatore dell’opera descrive sinteticamente così: <<Questa opera fu stampata e ampiamente diffusa da Lutero con il titolo di “Teologia tedesca”, e come tale conobbe grande fortuna nei secoli XVI e XVII, fornendo alimento essenziale alla mistica, non solo germanica – basti pensare a San Giovanni della Croce. Definito “opera immortale” da Schopenhauer, che paragonò il suo autore a Platone o Buddha, il Libretto  indica la via per raggiungere la beatitudine in questa vita, si che il mondo divenga per noi un paradiso; e la via consiste essenzialmente nella liberazione della volontà propria, dall’egoità, in modo che il nostro occhio divenga l’occhio stesso di Dio.>>.

All’inizio del libretto troviamo: <<Questo libretto fu scritto da Dio per mezzo di un saggio, ragionevole, verace, giusto uomo, che era allora cavaliere teutonico, sacerdote e custode del convento dell’Ordine a Francoforte; esso insegna molte preziose dottrine della verità divina, e in particolare come e da quali segni si possano riconoscere i veri e i giusti amici di Dio, ed anche gli ingiusti e falsi liberi spiriti, tanto nocivi alla santa Chiesa.>>. Dunque, nasce così nel medioevo il tipo del cavaliere mistico che,  pur riconoscendo nella cavalleria il punto d’arrivo della nobiltà, cerca la contesa in nome di un ideale più elevato.

E’ il momento in cui la cavalleria, subisce anche un trascendimento di cui, uno per tutti, Bernardo di Chiaravalle, diventa un elemento di fondamentale importanza, tanto da essere considerato il padre della mistica cristocentrica. Viti nel suo saggio “San Bernardo di Clairvaux e la sua visone sui Templari” scrive al riguardo: <<Il cavaliere templare, secondo il progetto di san Bernardo è un monaco-guerriero, un laico-cavaliere, nello stesso tempo legato al mondo religioso e al mondo profano, inserito a diverso titolo nell’«Ordo monachorum» e in quello «laicorum» rappresenta, sempre secondo la visione di san Bernardo, un nuovo tentativo di trasferire la vita laicale nell’alveo della struttura tipicamente monastica.

Fu proprio su questi binomi che si inserì l’intervento di Bernardo preoccupato di dare strutture monastiche ai milites Christi, impegnati nella guerra santa contro gli infedeli, nella vigilanza al Sepolcro di Cristo, nella protezione ai pellegrini in viaggio verso i Luoghi Santi. A Troyes è visibile la mano dell’abate Bernardo. Al nudus nudum Christum sequi, si aggiungeva per i Cavalieri del Tempio l’altro ideale Christum ducem militum sequi. La sequela Christi diventa un perfetto modello di vita, simile per molti versi a quello delineato da Bernardo per i suoi monaci. Non a caso la concessione del mantello bianco, pur emblematica del suo valore nella proiezione escatologica della scelta templare, accostava l’abito del cavaliere del Tempio a quello del monaco di Cîteaux.

Su questa componente monastica della vocazione templare Bernardo si intratterrà proprio nella stesura del trattato De laude novae militiae. Questo trattato più che espressione dell’orientamento dell’abate di Clairvaux a favore della guerra, rappresenta, invece, il più compiuto tentativo di verifica della originalità della vocazione templare colta nei suoi contenuti ascetici e in consapevole contrapposizione tra i valori della militia Dei e quelli della militia saeculi. Il trattato, dopo la lettera dedicatoria a Ugo di Payens, si articola in tredici capitoli, di cui i primi quattro hanno carattere sistematico in quanto finalizzati a delineare l’istituto della nova militia, quella templare, contrapponendola alla militia profana. Gli altri otto capitoli costituiscono un itinerario attraverso i principali Luoghi Santi (Betlemme, Nazareth, il monte degli Ulivi e la valle di Giosafat, il Giordano, il Calvario, il Sepolcro, Betfage, Betania) con lo scopo di consentire un approfondimento dei valori teologico-mistici sottesi sia al nome che agli eventi connessi alle singole località. […] Il De laude novae militiae nell’intenzione di Bernardo non è un testo celebrativo, ma esortativo, indirizzato a dare aiuto ai novi milites contro l’hostilem tirannidem, il nemico per eccellenza, di cui gli infedeli sono solo simbolo e figura.

Le caratteristiche di questa nova militia sono individuati da Bernardo su un duplice piano, quello della professio monastica (combattere contro il demonio e il peccato che si annidano continuamente nell’animo di ciascuno di noi) e quello della lotta contro il nemico terreno, incarnazione del demonio. Emerge così la figura del monaco-cavaliere, cioè di colui che combatte e, vincitore o vinto che sia, è destinato a ricevere il premio: l’alloro del trionfo o la corona del martirio. Queste prospettive non fanno temere al Templare neppure la morte. A questo punto Bernardo coglie in negativo il significato della saecularis militia, cioè della cavalleria profana, succube del peccato, fautrice della guerra ingiusta, superba, vanitosa, effeminata, iraconda, vanagloriosa, avida.>>. Aggiunge sempre Viti: <<L’insistenza sugli aspetti negativi della saecularis militia apre a Bernardo il passaggio obbligato per mettere in evidenza il carattere della nova militia che non teme di peccare uccidendo il nemico e non ha paura della morte, in quanto ha la certezza della grazia del Signore, anzi considera un segno privilegiato della grazia lo stesso martirio. San Bernardo avverte il bisogno di giustificare l’immagine di un monaco che pur combatteva e uccideva.

A questo punto Bernardo, senza non lieve imbarazzo, introduce il concetto del malecidio. L’uccisione del nemico nella guerra contro i pagani non fa che contribuire ad eliminare il male dal mondo, e far trionfare il bene sul male e sul peccato. Bernardo ritiene che sarebbe meglio non uccidere nessuno, nemmeno i pagani, nonostante che in questo periodo non sia proibito dalla morale cristiana il ricorso all’uso legittimo delle armi. Comunque Bernardo tenta di offrire i connotati caratteristici dei Cavalieri del Tempio, in netta antitesi con quelli della cavalleria profana: la fuga dall’ozio, l’obbedienza totale, la modestia del tratto, la prudenza del combattimento, la continenza, la rinunzia al lusso, specialmente all’opulenza del vestiario e alla ricercatezza degli ornamenti. Tutti questi atteggiamenti costituiscono i tratti più autentici di una profonda e radicale conversio del cavaliere votato alla milizia di Cristo.>>.

Ma se è vero che il monaco cavaliere, nella fattispecie il Templare – dove Sapientia e Fortitudo convivono nella stessa persona, creando il perfetto monaco e al tempo stesso il perfetto cavaliere – rappresenta un’ideale rappresentazione di fede e mistica, è altresì vero che troviamo una forte mistica nella figura del cavaliere “puro” come nei leggendari Galahad, Bors e Perceval. Pier Massimo Forni, ne “Il Santo Graal”, ne  racconta così le gesta: <<Dopo aver assaltato castelli e raddrizzato ingiustizie di ogni tipo, dopo aver assistito ogni giorno alla messa e aver avuto visioni ricche di arcani simboli, dopo aver vagato per boschi pieni di incantesimi, finiscono poco a poco per avvicinarsi al Graal. Giungono infatti alla reggia del Re Pelles. Dopo aver fatto conoscenza con gli abitanti del castello che sono tutti parenti di sangue di Galahad ed aver assistito ad alcune cerimonie religiose, i cavalieri hanno la rivelazione tanto attesa. Sembrò che un vecchio e quattro angeli scandissero dal cielo.

Egli era vestito come un vescovo e teneva in mano una croce, e i quattro angeli lo portarono su un seggio e lo deposero davanti alla tavola d’argento, dov’era il Sangraal. Egli parea aver nel mezzo della fronte scritte queste parole: “Guardate qui Giuseppe, il primo vescovo della Cristianità, quel medesimo che Nostro Signore soccorse nella città di Sarras nel palazzo spirituale “. Stupironsi i cavalieri perché quel vescovo era morto da più di trecent’anni. “Ah, cavalieri”, diss’egli, “non meravigliatevi perché io fui un tempo un uomo del mondo”. In quella udirono la porta della camera aprirsi, e videro angeli venire avanti: due portavano candele di cera, il terzo portava un pannolino, e il quarto una lancia che gocciava sangue meravigliosamente, sì che le gocce cadeano in un vasello ch’egli teneva con l’altra mano. Poi quelle deposero le candele sulla tavola, il terzo depose il pannolino sul vasello, e il quarto la sacra lancia diritta sul vasello. Il vescovo fece come se stesse per celebrare la Messa e prese un’ostia fatta in modo simile a pane; e quando la levò in alto, apparve la figura di un bambino con il volto rosso e splendente come un fuoco, il quale si immedesimò nel pane, per modo che tutti videro che il pane era formato di carne umana. Poi il vescovo rimise l’ostia nel sacro vasello e procedette a fare quel che si conviene a un prete per celebrare la Messa.

Indi s’avvicinò a ser Galahad e lo baciò, e gli disse di andare a baciare i suoi compagni: il che ser Galahad subito fece. “Ora”, disse il vescovo, “servitori di Gesù Cristo, voi vi ciberete davanti a questa tavola di dolci vivande quali mai cavaliere assaggiò”. Detto questo, egli scomparve. I cavalieri sedettero alla tavola in gran timore e dissero le loro preghiere. Allora, guardando, videro uscire dal sacro vasello un uomo che avea tutti i segni della Passione di Gesù Cristo aperti e tutti sanguinanti, il qual disse: “Miei cavalieri e servitori e miei veri figliuoli, che siete usciti dalla vita mortale a quella spirituale, io non voglio più celarmi a voi, ma ora vedrete una parte dè miei segreti e delle mie cose nascoste. Ora ricevete e tenete alto l’ordine e il cibo che avete tanto desiderato”.  Indi egli stesso prese il sacro vasello e s’avvicinò a ser Galahad, che s’inginocchiò e ricevette il Salvatore. Dopo di lui anche i suoi compagni lo ricevettero; e parve loro sì dolce che sarebbe meraviglioso a dire. Ecco dunque rivelata una parte dei segreti del Graal ai migliori cavalieri. Successivamente, e solo a Galahad, vengono mostrati più alti misteri, tanto che il casto figlio di Lancillotto chiede la grazia di lasciare l’esistenza terrena per poter contemplare perennemente in cielo l’immagine di Dio.

In realtà il suo tempo non è ancora venuto, perché egli ha un ultimo dovere da compiere: quello di recarsi da re Pelles che da lunghi giace infermo e ferito. Galahad prende alcune gocce di sangue del Graal e con esse asperge il corpo piagato del re; il quale, immediatamente guarito, si rialza e, per rendere grazie a Dio, si reca in un eremo a trascorrere in santità il resto dell’esistenza. Ora la missione di Galahad è davvero finita e il suo desiderio di vita eterna viene esaudito. Una schiera di angeli dall’aspetto dolcissimo e dalla voce melodiosa scende dal cielo per portare in Paradiso la sua anima senza peccato. Da allora il Graal non fu più visto sulla terra e le storie dicono che forse Galahad lo ha portato con sé nel viaggio celeste. Siamo dunque giunti alla fine della grande cerca. Perceval si ritira in un convento dopo un anno muore e viene sepolto da ser Bors. Ser Bors, rimasto solo, s’incammina verso Camelot. Anche per lui il tempo dell’avventura è finito; ora il suo dovere è quello di raccontare ciò che ha visto perché gli uomini ne serbino memoria. Egli reca anche le ultime parole pronunciate da Galahd prima di morire: “Dolce amico, salutate per me mio padre ser Lancillotto e ricordategli che il mondo non è che un luogo di vane sembianze”.>>.

Ne scaturisce dunque – da quanto sopra citato – una cavalleria medievale che, sia nella storia sia nella leggenda, è fortemente intrisa di fede e mistica e che agisce sempre in nome di Dio e nell’imitazione di suo figlio Gesù Cristo. Del resto, basti pensare al Salmo 113b della Vulgata che fece da motto dell’azione Templare: «Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria». E per concludere questo breve scritto, cito nuovamente il De laude novae militiae di San Bernardo che, con chiaro riferimento alle Sacre Scritture (1 Thess. 5,8), scrive:  “È davvero impavido e protetto da ogni lato quel Cavaliere che come si riveste il corpo di ferro, così si riveste con l’armatura della fede.”

* Franco Faggiano, arciere dal 1985. Dal 1994 si è dedicato all’archery training e al medieval re-enactment. Nel 1997 ha fondato il sodalizio nazionale Corporazione Arcieri Storici Medievali di cui è l’attuale Presidente. Relatore a conferenze e convegni. Ricercatore storico e saggista, fin dal 1988 ha collaborato giornalisticamente con diverse case editrici. Inoltre, nel 2006, ha pubblicato con la casa editrice Penne e Papiri un libro di saggistica a carattere storico-religioso dal titolo “Arcieria & Cavalleria“. Blog: https://corporazione.blogspot.com  | https://archerycampus.blogspot.com

Bibliografia:

– Breve storia della Chiesa, August Franzen, Queriniana;

– Libretto della vita perfetta, Anonimo Francofortese, a cura di Marco Vannini, Newton;

– L’imitazione di Cristo, a cura di Ugo Nicolini, Paoline;

– Bernardo di Clairvaux e la sua visione sui Templari, P. Goffredo Prof. Viti, Ordine Cistercense;

– Le grandi leggende cavalleresche, Storia delle Crociate, di Pier Massimo Forni, Domus.

Fonti immagini: Wikipedia (pagine: Cavaliere – Cavalleria medievale)

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