Principale Economia Taranto, quel porto strappato (agli italiani e) ai cinesi perché NATO americano

Taranto, quel porto strappato (agli italiani e) ai cinesi perché NATO americano

Nel fitto intreccio delle relazioni globali che crollano e si ricompongono di continuo, un episodio recente ha visto il porto di Taranto al centro di una trama geopolitica complessa.

Le autorità portuali pugliesi, infatti, lo scorso 9 agosto hanno rigettato e archiviato la richiesta presentata da Progetto Internazionale 39 (ditta che si interesserebbe di energie, trasporti, servizi, concessioni e logistica, con sede legale a Roma – in Piazzale Clodio – ma amministrata per più di un terzo da rappresentanze cinesi) di creare una zona appositamente dedicata al carico/scarico e all’immagazzinamento di merci e container, in seno alla “Piattaforma Logistica” del Mar Ionio. E non vi sarebbe alcuna coincidenza spazio-temporale nel fatto che tale decisione, completamente ribaltata rispetto ai propositi iniziali, sia stata presa in un frangente di stallo critico sulla famigerata “Nuova Via della Seta“, nonché nella casualità che la stessa scelta riguardi un’importantissima area dal peso strategico incommensurabile per la macchina bellica della NATO, sia da un punto di vista geocommerciale che, probabilmente, anche da uno geomilitare.

Le scatole cinesi con soci, nomi e obiettivi cambiati

L’istanza “ZES” (un’Autorizzazione Unica per Zona Economica Speciale Interregionale Ionica Puglia Basilicata) di cui sopra, che avrebbe potuto garantire enormi vantaggi doganali e fiscali se non fosse stata bocciata “in appello” a causa di una “mancata capitalizzazione e modifica dei soci”, venne avanzata il 12 settembre del 2022 da una società dal patrimonio prettamente (il 33% + l’1%) “orientale”, che puntava – tra l’altro – a investire in studi migliorativi del comparto energetico e delle “scienze della vita”. Nello specifico l’organizzazione si sarebbe impegnata a gestire e far fruttare, per 10 anni, un complesso architettonico che racchiude una palazzina per uffici, un magazzino a temperatura ambiente e uno frigorifero, un alloggio per custode, dei servizi di ristoro, un’autorimessa e un terminal ferroviario, oltre ad un piazzale per il deposito di grossi vagoni contenitori. Valore totale? Quasi 220 milioni di euro, di cui l’80% proveniente da fondi pubblici.

Ma che si intende “per mancata modifica dei soci”? Partiamo da lontano: al centro di questa vicenda, infatti, figurerebbero vari personaggi in continuo “movimento“, tra cui Sergio Gao Shuai, cittadino sino-italiano con dimora nel Bel Paese da 25 anni e parte integrante di Progetto Internazionale 39 – una S.r.l. inizialmente aperta, secondo il quotidiano nazionale La Verità, con nome diverso (Pumma brand) per gestire il marchio (PummaRe) di una catena di pizzerie romane per location e napoletane per gusto) – con il suo sopracitato 34%, nonché figura chiave in numerose iniziative volte a promuovere la cooperazione economica italo-cinese (Gao Shuai è stato ideatore del Dragon Business Forum ed è tuttora presidente dell’ASECI, l’Associazione per lo Sviluppo Economico e Culturale Internazionale). Il suo profilo, oltre a destare le paure di qualcuno che non gradisce avere in casa un incaricato del governo cinese, è stato oggetto di controverse critiche in passato, tra cui quelle per l’import di ingenti quantità – circa 50 tonnellate – di DPI facciali in Puglia durante la pandemia da Co.Vi.d./19 (per l’allora somma soddisfazione del Presidente di Regione Michele Emiliano).

Il rifiuto di autorizzare movimentazioni collegabili a Pechino nel porto di Taranto, ora, mischia nuovamente non poco le carte in tavola, considerando che il Prof. Avv. Sergio Prete, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio, risulterebbe collaboratore – da unico italiano – dello Shanghai International Shipping Institute (trad. lett.: Istituto per le Spedizioni Internazionali di Shanghai) e che nell’infrastruttura marittima pugliese è già presente da tempo un’eccellenza nostrana nelle costruzioni navali, la Ferretti Group, a sua volta controllata in maggioranza dall’azienda statale cinese Weichai Group sin dal 2012.

Nuovi equilibri: con lo “zio Sam” si torna alla vecchia scuola

Un diniego amministrativo, inoltre, che avrebbe anche evidenziato ulteriormente l’interesse strategico degli americani per tutto l’intero golfo tarantino in generale, dato che tutto il tratto costiero ha vissuto una vera e propria ri-militarizzazione tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, con l’attivazione del Comando Multinazionale Marittimo per il Sud dell’alleanza atlantica, accanto alla già presente importante base della Marina militare italiana (Marina Sud).

Questa situazione si inserirebbe, quindi, in un quadro complesso di rapporti geopolitici tra Italia, Cina e NATO. E, mentre comporterebbe un obbligato raffreddamento delle relazioni tra le prime due, sottolineerebbe in modo chiaro la posizione contraria degli alleati alla permanenza cinese in queste zone d’importanza cruciale, per loro e per noi. Tanto essenziali da poter anche rischiare di far saltare il banco nel corso della prossima revisione del memorandum d’intesa sulla “Nuova Via della Seta” (trattato non vincolante e stretto nel 2019 da quel M5S che ancora oggi, non si sa a che titolo, avvisa e ammonisce sul da farsi), oramai più che sicura (come sottolineato recentemente dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani, in visita a Pechino).

Un “saluto al Dragone“, dunque, quello del porto di Taranto, che per ora sembra un addio, che non sarà l’unico (pare, difatti, che anche Vado Ligure sia stata economicamente “riconquistata”, ma probabilmente non da portafogli italiani visto che si guarda al territorio savonese come prossimo polo rigassificatore) ma che rappresenta soprattutto un ulteriore tassello nella complessa “danza delle relazioni internazionali“, in cui si intrecciano interessi politici, economici e militari delle varie grosse potenze globali con quelli delle piccole “colonie” da sfruttare (e l’Italia, anche se ultimamente troppo spesso capofila in disastri simili, non pare essere da sola questa volta, visto che il colosso cinese dello shipping COSCO – con in mano il 40% del business mondiale e diversi porti europei – ha in cantiere di consolidare ed espandere ulteriormente la propria attività, da quando a giugno – dopo un’ascesa lenta ma inesorabile e due anni di trattative – sarebbe riuscita ad accaparrarsi il 24,99% del valore azionario – che resta comunque una quota rilevante ma minoritaria – del terminal portuale di Amburgo).

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Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Andrea Murgia del 06 settembre 2023), Formiche, Corriere di Taranto, Quotidiano di Puglia, StartMagazine, sito di Confindustria Taranto, LaVerità, sito di PummaRe, Sempione news, Blog EUROASIATICNEWS, edizione di Bari de La Repubblica, sito dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio – Porto di Taranto, sito dello Shanghai International Shipping Institute, sito della Ferretti Group, sito di Weichai Group, La Gazzetta del Mezzogiorno, sito della Marina militare italiana, Policy Maker, IL SECOLO XIX, sito di COSCO SHIPPING Ports Limited, Mobilità.news, NORDEST ECONOMIA;

Profilo Facebook: Sergio Gao Shuai;

Account Twitter: Annarita digiorgio;

Profilo LinkedIN:  Shuai Gao;

Canali YouTube: TeleRamaNews.

Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

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