Irriconoscibili poiché trasparenti, senza odore né sapore, i PFAS sarebbero tanto resistenti quanto estremamente cancerogeni. Questi composti perfluoroalchilici, diffusi dall’industria per rendere impermeabili vestiti, pentole e pellicole (ma anche detersivi e schiume ignifughe), si sono rivelati nel tempo tanto utili quanto pericolosi, specie se liberati nell’ecosistema.
Dalla California allo scontro legale Bilott-DuPont
Un recente studio sulla nocività di queste sostanze idrorepellenti, condotto nella terra di Biden e Fauci, finanziato dal governo “dem” infiltrato dal “Deep State” – sostenitore di pandemie, “vaccini”, lockdown e pass sanitari – e uscito a corredo dei precedenti elaborati sinora, avrebbe rivelato il loro stretto legame con specifici tipi di tumore riscontrati particolarmente nelle donne, quali quello al seno e all’utero (ma anche alla pelle).
La ricerca, redatta dalla Scuola di Medicina Keck dell’USC (University of South California, trad. lett.: Università della California meridionale), in collaborazione con altri istituti (il Dipartimento di Epidemiologia e Biostatistica dell’Università della California e l’Università del Michigan), ha evidenziato che le persone di genere femminile in contatto prolungato con PFDE, PFNA e PFUA (tipi di PFAS “a catena lunga”) presentano il doppio delle possibilità di sviluppare melanomi, una delle neoplasie cutanee più aggressive. Il cancro all’utero e alle ovaie, invece, sarebbe un risultato associato a una maggiore contaminazione da fenoli, particelle derivate da idrocarburi aromatici.
Questa allerta circa la pericolosità dei PFAS, definiti prodotti chimici “eterni” per la loro capacità d’accumulo e durata pressoché infinita (che ricorda, quasi, quella dei diamanti), giunge dunque dagli Stati Uniti d’America, dove si starebbe comunque cercando di inquadrare meglio il fenomeno e dove una storica azione legale di gruppo (class action) contro il colosso chimico DuPont, condotta per oltre 20 anni dall’Avv. Robert Bilott, ha portato giustizia – almeno in termini economici, e si parla di 671 milioni di dollari – a vari cittadini della Virginia Occidentale, ammalatisi per cause riconducibili a tale chimica.
PFAS, dopo “il caso Miteni” in Veneto resta alta la guardia
In Italia invece, a Vicenza, è in corso un procedimento giudiziario legato alla “DuPont italiana”, la Miteni, ai cui 15 ex dirigenti sono state mosse delle accuse di inquinamento idrico e disastro nei confronti dell’incolumità pubblica. La Miteni, rilevata prima da ICIG e, dal 2018, in dichiarato stato di fallimento, sarebbe responsabile di un’enorme infezione ambientale, nelle province di Vicenza, Padova e Verona, che avrebbe compromesso una falda acquifera grande quanto il Lago di Garda.
I PFAS, oramai, sarebbero un problema diffuso in tutto il mondo (vedi il caso svedese di Ronneby – dove le forniture idriche di un paesino di 28.000 residenti sarebbero state contaminate da un’esercitazione con gli estintori, fatta dai VVFF a 2 chilometri di distanza – o quello delle piogge tibetane piene di PFOA), come confermato da una “mappa europea delle sostanze tossiche” pubblicata da Le Monde in Francia, che evidenzierebbe la loro presenza in tutto il Vecchio Continente (e oltre). Ma da noi – chissà perché… – la condizione sarebbe particolarmente critica, dato che la Regione Veneto è arrivata a dover installare dei filtri a carboni attivi e a rifornirsi dell’idrico proveniente da zone (per ora) libere dai PFAS. Da quanto riporterebbe il gruppo delle “MAMME NO PFAS“, inoltre, questi composti avrebbero trovato via libera persino nelle forniture d’acqua pubblica, finendo nel sangue delle persone che l’hanno bevuta, usata per cucinare o per bagnarsi. È sarebbe anche stato dimostrato che i PFAS indurrebbero infertilità femminile, unitamente ad un anormale sviluppo dell’apparato genitale maschile in tenera età, a disfunzioni tiroidee e del sistema nervoso centrale.
Insomma, dopo il Co.Vi.d./19 l’umanità ora ha a che fare con un nuovo nemico insidioso ed invisibile, a proposito dei cui effetti – spiegati in un documento scientifico pubblicato su una rivista di settore (JESEE) affiliata ad una società internazionale di scienza dell’esposizione (ISES) i cui incontri annuali sono sponsorizzati da colossi chimico-farmaceutici – un’università medica californiana con docenti che fungono da consulenti per il World Economic Forum ci ha avvisato. Un veleno micidiale, dunque, particolarmente diffuso perché facilmente reperibile nei rubinetti e che staremmo ingerendo da anni, senza nemmeno accorgercene. Ma che è ora di combattere, in trincea o… negli hotspot.
Fonti online:
ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Andrea Tomasi del 20 settembre 2023), HBM4EU, SPRINGER LINK, Nature (sezione JESEE – Journal of Exposure Science and Environmental Epidemiology), Sanità informazione, ImolaOggi.it, Nordic Co-operation, sito della Keck School of Medicine of USC, sito dell’University of South California, LCSB R3 GitLab, Wikipedia, The Washington Post, ACS Publications, Right Livelihood, ICIG (International Chemical Investors Group), Il manifesto, PubMed, SpringerOpen (sezione Enviromental Science Europe), Le Monde, sito del gruppo “MAMME NO PFAS“, sito del National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS), ScienceDirect, sito dell’International Society of Exposure Science (ISES), Candid, sito del World Economic Forum (sezione Intelligenza strategica), ArezzoWeb INFORMA;
Canali YouTube: GreenpeaceItaly, Radio Radio TV.
Antonio Quarta
Redazione Corriere di Puglia e Lucania