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La Corte Costituzionale decide per l’ adozione mite

Ventotto anni fa il fondatore della “Papa Giovanni XXIII” aveva anticipato la sentenza di ieri della Corte costituzionale: legami tra i bambini adottati e le famiglie d’origine non vanno recisi 

Non possiamo chiamarla “adozione aperta” e neppure “adozione mite” ma, secondo la sentenza annunciata ieri dalla Corte Costituzionale, siamo arrivati a una formula molto simile. I giudici potranno decidere caso per caso se mantenere i rapporti tra il bambino adottato e alcuni membri della famiglia d’origine – i nonni, un fratello, una sorella – laddove “sussistano radici affettive profonde”.

Nessun automatismo legislativo, si valuterà sulla base della qualità dei rapporti perché, hanno riconosciuto i giudici, è nell’interesse del minore non recidere questi legami che aiutano a crescere. Sembrerebbe un’osservazione scontata. Perché vietare un rapporto che può far bene a un bambino già segnato in piccola o larga parte dalle delusioni e dalle sofferenze come, quasi inevitabilmente, capita a tutti i minori dichiarati adottabili? Eppure il dibattito in Italia va avanti da decenni. Alcuni esperti contrari, altri d’accordo. La legge 184 del 1983, quella che ieri la Consulta ha aggirato con una sentenza innovativa, dice che con l’adozione i rapporti con la famiglia d’origine devono cessare. Comprensibile, e anche doveroso in alcuni casi (abusi, incuria, maltrattamenti), ma perché generalizzare?

Era di quest’idea anche, quasi trent’anni fa, uno come don Oreste Benzi che di relazioni con le persone fragili se ne intendeva, eccome; egli scriveva : “Impedire a un minore di venire a contatto con i suoi genitori è una violenza inaudita. L’affidamento familiare è la via splendida che salva questo essenziale diritto alla madre e al padre. L’adozione come è attuata ora in Italia va modificata”. Era il 16 luglio 1995. Il giorno precedente era arrivata la notizia che in Germania era stata avviata una sperimentazione per quella che veniva appunto definita “adozione mite”. Una formula esistente già in altri Paesi e che in pochi anni sarebbe stata poi largamente adottata in Europa. Ma don Benzi, il fondatore della “Giovanni XXIII”, sulla base delle decine e decine di comunità familiari fondate in Italia e nel mondo, andava ancora oltre. Leggiamo il seguito del suo articolo: ”L’adozione come è attuata ora in Italia va modificata.

A meno che i genitori siano morti, si deve rispettare il diritto del bambino a partecipare alla scelta dei genitori adottivi; finché i genitori biologici sono vivi bisogna procrastinare l’atto giuridico dell’adozione all’età in cui il minore è capace di scegliere consapevolmente. L’atto adottivo giuridico è una garanzia per gli adottanti, non per il minore; questi infatti non vorrà mai sentirsi bloccato dalla condizione di “adottato””. Una posizione coraggiosa, capace di guardare profeticamente lontano e di cogliere nella scelta di recidere i legami, come imposto fino a ieri dalla legge, una sorta di ferita interiore. Come se il ragazzo fosse in qualche modo costretto a rinnegare le proprie origini, a dimenticarsi di avere radici familiari ben chiare, una storia, parenti con un nome e un cognome. ”I migliori papà e mamme, affidatari o adottivi – scriveva ancora don Oreste – non cancellano nel figlio, adottato o affidato, il bisogno invincibile di incontrare chi lo ha generato. La legislazione che impedisce di soddisfare questo bisogno costituisce violenza contro il minore”.

E questo, cioè la possibilità di scoprire le proprie origini biologiche, è un altro problema irrisolto nel nostro Paese. La legge, a lungo auspicata, “quasi approvata” due legislature fa, rimane ancora una chimera. Problemi di cui il nostro Parlamento non si cura. Per rimettere a posto le cose, almeno per quanto riguarda la necessità di non recidere i legami con la famiglia d’origine, è stato necessario un intervento dei giudici. Dobbiamo attendere un’altra sentenza anche per il riconoscimento delle origini biologiche? Eppure basterebbe prendere in mano la “profezia di don Benzi”, rileggerne e comprenderne il significato, per rendersi conto di come il problema fosse evidente – e irrisolto – da decenni. Non è che i giudici della Corte Costituzionale hanno preso spunto proprio dal “nostro” articolo di 28 anni fa?.

Marcario Giacomo

Editorialista de Il Corriere Nazionale

www.corrierenazionale.net

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