Principale Ambiente & Salute Vietato partorire, 67 donne denunciano il governo danese

Vietato partorire, 67 donne denunciano il governo danese

In Danimarca sarebbe nata una controversia tanto insolita quanto scioccante: 67 donne di etnia Inuit (nota come “eschimese”) si sarebbero coalizzate nel chiedere un risarcimento personale di 300mila corone danesi – pari a circa 42mila euro – all’Ufficio del Primo ministro nazionale (al momento Mette Frederiksen). Il motivo? Aver dovuto subire in tempi non lontani una politica statale di contraccezione forzata, alla quale non avrebbero mai prestato il consenso né le persone interessate né le rispettive famiglie e della quale, soprattutto, non hanno mai ricevuto alcuna informazione valida o motivazione, ma solo tanti danni permanenti, fisici e psicologici.

Sfregi indelebili: la manipolazione intrauterina che salvò le casse

Le 67 attiviste che, a distanza di anni dall’accaduto, si son fatte forza e hanno denunciato quanto subito, rappresenterebbero soltanto una frazione delle quasi 5000 ormai anziane coinvolte nell’iniziativa del governo danese negli anni ’60 e ’70 (dal 1966 al 1974 esattamente), conosciuta come “Danish coil campaign“: un piano per l’impianto in tenera età del metodo contraccettivo della spirale – o IUD (Intra Uterine Device) -.

Nel 2017 la psicologa Naja Lyberth (anch’ella vittima di quest’abominio) ha portato questi fatti all’attenzione pubblica, capeggiando un gruppo di donne traumatizzate a vita che ora minaccia di intentare un procedimento legale contro i rappresentanti del regno. Lyberth, nello specifico, ha timidamente confessato di aver ricevuto forzosamente il dispositivo anti-natalità nel 1976, all’età di quattordici anni, in seguito ad un esame medico scolastico.

Un intervento invasivo che né lei né alcune tra le sue coetanee (e, inspiegabilmente, men che meno le rispettive famiglie) avevano mai richiesto o autorizzato. E al quale furono sottoposte senza ricevere alcuna spiegazione o, persino, monitoraggio medico adeguato negli anni a seguire (in quel frangente pare che l’unica preoccupazione danese fosse quella di abbassare il numero dei futuri richiedenti diritti in patria paterna, nati da giovanissime isolane sotto i vent’anni – molte di loro mai prese in moglie – e manovali continentali probabili discendenti da Thor, in tournée perché sospinti dal boom edilizio del dopoguerra). In molti casi queste fanciulle, crescendo, avrebbero riscontrato varie problematiche non solo se giunte in stato interessante, ma spesso non riuscendo nemmeno a concepire figli e subendo, invece, emorragie, infezioni e fastidi addominali gravi, che in alcuni casi avrebbero richiesto addirittura una rimozione uterina chirurgica.

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“Nubile per legge” e “giuridicamente orfano”, colonizzare con carota e bastone (del manovale)

Un anno fa, una trasmissione podcast (Spiralkampagnen), condotta sul canale streaming (DR TV) dell’emittente pubblica danese (DR), ha rivelato informazioni documentate provenienti dall’archivio nazionale. Queste testimonianze hanno svelato come in quegli anni i sussidi medici per indurre alla denatalità fossero stati realmente impiegati, su ben 4.500 donne Inuit circa (praticamente sul 50% della popolazione femminile fertile della Groenlandia), alcune delle quali avevano appena dodici anni. E poco importa se questa prassi si sarebbe successivamente allargata anche alla Danimarca, con il medesimo obiettivo di ridurre le spese per il benessere sociale del Paese, limitando i concepimenti (pare che sempre tra la stessa stirpe degli Inuit, però).

L’indagine giornalistica ha raccontato come nel contesto geoeconomico di quell’isola gigante e ghiacciata – nonché isolata e tranquilla almeno fino al 1953, quando fece gola alle flotte baleniere e divenne parte integrante del Regno di Danimarca (dopo essere stata solo una semplice colonia dal 1814) – si era assistito a un notevole aumento di culle negli anni ’50, tanto da portare al raddoppio della popolazione locale nel 1970 (pare che questo incremento di nascite fosse stato favorito soprattutto dalle politiche di “modernizzazione” attuate dalle istituzioni di Copenaghen, che miravano a migliorare qualitativamente il sistema sanitario nazionale e a ridurre le cause di patologie e tasso di mortalità infantili.

Si ammette candidamente che il progetto cercò generalmente di limitare le gravidanze delle donne “considerate nubili dalle leggi danesi”, ossia di quelle ragazze cresciute in famiglie di stampo nucleare “non occidentale”, ma “allargato” (una consuetudine che era parte integrante della cultura Inuit, che ha permesso loro di crescere questa prole “giuridicamente orfana” e che, a prescindere, non avrebbe certo dovuto comportare automaticamente il fatto che queste giovincelle dovessero essere trattate come carne “usa e getta”, abbandonate al loro destino e con un infante in braccio sia dai loro “amanti vichinghi” che da uno Stato che in quel luogo li aveva inviati a lavorare. E, soprattutto, che non dovessero essere sterilizzate a loro insaputa e con la forza o l’inganno).

Tempus fugit” a governare corpo e psiche propri, aspettando Giustizia

Solo nel 2020 la Danimarca ha capito di dover presentare delle scuse formali e lo ha fatto, dopo aver rubato a molte di loro la verginità in giovinezza e il desiderio di avere dei nipoti in vecchiaia. Ha istituito una commissione d’inchiesta sull’accaduto, congiuntamente all’amministrazione dello Stato “semiautonomo” della Groenlandia (il Naalakkersuisut), i cui lavori sono iniziati a maggio di quest’anno e sono tuttora in corso. Ma per Naja Lyberth e le sue compagne il tempo è tiranno: “Non vogliamo aspettare i risultati dell’indagine”, ha dichiarato. “Stiamo invecchiando, le più anziane tra noi, che avevano la spirale negli anni ’60, si avvicinano agli 80 anni”, ha inoltre sottolineato l’attivista a microfoni dell’AFP.

Per Lyberth, comunque, il punto fondamentale resta stabilire e ammettere che la meschina campagna anti-procreazione sia stata “ampia e politicamente orchestrata”, avvenuta “sotto la responsabilità completa dello Stato danese”, con i medici a fungere da semplici “braccia estese” delle istituzioni di allora. Braccia dalle quali ora si sente finalmente liberata: “Non mi è stato permesso di governare il mio corpo, come se fosse colonizzato. Oggi l’ho decolonizzato insieme alla mia psiche – ha affermato – che non appartengono più al governo”, ha dichiarato la psicologa.

E queste sue frasi, oggi più che mai, devono servire a pensare a come la medicina vada esercitata, a prescindere dal contesto o periodo storico, evidenziando sempre la necessità di considerare in primis l’aspetto etico di ogni applicazione e mai, come concordato dopo i conflitti mondiali, a fini eugenetici.

Ascolta “Groenlandia, spirali contraccettive senza consenso a 4500 donne di etnia inuit: la causa contro il governo danese. Naja Lyberth: «Non aspett” su Spreaker.

Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Giuliana Radice del 4 ottobre 2023), Wikipedia, Wired, Virgilio Notizie, sezione Radio e Podcast di DR, ITVX, Mondo Internazionale APS, JUSTICEINFO.NET, Le Monde, sito istituzionale del Naalakkersuisut (Governo della Groenlandia), France 24, sito di di DR, La Nuova Bussola Quotidiana;

Profilo Facebook: Juno Berthelsen (Capo ufficio del Naalakkersuisut – Governo della Groenlandia);

Account Twitter: Statsministeriet, Naja Lyberth;

Pagina Spreaker: sezione Audio articoli del Corriere della Sera;

Canali YouTube: Nova Lectio.

Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

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