Principale Arte, Cultura & Società Cinema & Teatro Bari, 100 Calvino: l’omaggio del Teatro delle Bambole con “Il Castello”

Bari, 100 Calvino: l’omaggio del Teatro delle Bambole con “Il Castello”

INTERVISTA al regista barese ANDREA CRAMAROSSA fondatore della compagnia teatrale Il Teatro Delle Bambole.

“Il Castello”: perché questo omaggio a Calvino?

Abbiamo iniziato a lavorare su Calvino quasi due anni fa mi interessava indagare e studiare la scrittura e la letteratura di questo celebre scrittore contemporaneo per trarne un progetto di ricerca con la mia compagnia Il Teatro delle Bambole. C’è stata poi una convergenza di buone occasioni, perché il mio interesse artistico si è incrociato con il 100 Calvino, la rassegna dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Bari e del Teatro Pubblico Pugliese organizzata in occasione del centenario dalla nascita dell’autore che cade esattamente il 15 ottobre. Tutta questa settimana sono previsti, infatti, una serie di appuntamenti oltre il nostro, anche con l’Università e le scuole, tutti più o meno gratuiti tra l’altro. Il nostro spettacolo – che è stato un fuori abbonamento rientrante nella stagione teatrale – vuole essere sì un omaggio, ma anche una spinta a far sì che la letteratura torni ad essere ciò che è sempre stato, cioè qualcosa che svela e rivela i tabù della nostra società e quindi grazie anche al fatto che degli scrittori hanno comunque nel tempo sperimentato, quindi siamo usciti da determinate dinamiche di narrazione – cosa che oggi, insomma, a me sembra si sia persa.

Di cosa tratta l’opera? Come l’hai ideata?

Per realizzare Il Castello ho studiato in particolare “Le città invisibili”, “Il castello dei destini incrociati”, “Palomar”, “Prima che tu dica pronto”, “Il sentiero dei nidi di ragno” di Calvino, ma non per ispirarmi a queste opere bensì per comprendere la preponderante tensione dell’autore verso il meccanismo ossessivo della scrittura e la sperimentazione. Questo desiderio profondo di restare totalmente immerso nell’attività di scrittura, un movimento circolare e vorticoso, come a volersi friggersi il corpo su un rovente crogiolo, per poter scoprire, amorevolmente, la passione totalizzante per la leggerezza. Questo mi ha permesso con tantissimo sforzo e dedizione di ottenere un’opera originale che omaggiasse più che altro l’approccio calviniano del fare letteratura. Pensa che Calvino ai tempi de “Il castello dei destini incrociati” aveva aderito a un circolo culturale di scrittori francesi con cui ha sperimentato la scrittura tramite i tarocchi, rimanendo ossessionato per anni anche a tal punto di non dormire la notte per cercare di trovare le combinazioni narrative plausibili ogni volta che girava le carte. Questo modus operandi così stimolante e affascinante per me l’ho riportato anche nel lavoro che conseguentemente ho svolto con gli attori interpreti del testo con i quali abbiamo ragionato in termini di meta-teatralità ossia di teatro nel teatro: quest’ultimi infatti interpretano personaggi che a loro volta nella storia sono attori, andando perciò a creare una doppia maschera, come una dimensione altra. Raccontano un viaggio letterario e visionario in una sensibilità immaginata lungo il sentiero di secoli di preveggenza, di misteri, di labirintiche e tortuose analogie tra l’irrisolto umano e l’adulta ipertrofia di un mondo immaginario.

Lo spettacolo ha debuttato allo storico Teatro Piccinni. Che riscontro ha ottenuto?

Il 9 ottobre dopo mesi e mesi di lavoro siamo andati in scena con un duplice debutto perché abbiamo fatto la matinée per le scuole superiori, sempre al Piccinni ed è stato davvero molto emozionante perché non capita spesso di vedere un teatro strapieno di studenti giovanissimi e a me nello specifico non era mai successo di proporre una mia opera a un pubblico di questo genere. Poi abbiamo fatto il serale per il pubblico più adulto ed è stato chiaramente bellissimo anche quel momento non solo perché lo scambio è di sicuro più efficace ma anche perché, oltre a celebrare Calvino, è stata anche l’occasione per ricordare i vent’anni del Teatro delle Bambole e abbiamo avuto l’onore di farlo su un palco meraviglioso, che protegge e accoglie gli attori, talmente così materno e confortante che non abbiamo minimamente avvertito l’impressione di compiere un lancio nel vuoto senza paracadute.

Vent’anni è un traguardo non facile da raggiungere a Bari per una compagnia di teatro…

Sì esattamente e per una compagnia che fa ricerca teatrale anche di più. Eppure con enormi difficoltà e sacrifici siamo sopravvissuti e ci tengo a sottolineare che siamo tutti professionisti, cioè viviamo di questo, non abbiamo altri lavori. Siamo arrivati oggi a poter mostrare orgogliosamente la nostra arte a un pubblico consistente. Certo, in una città o in un luogo che non è il centro di un Paese o di un continente può sembrare irrealizzabile, ma invece è possibilissimo e mi fa pensare sempre più che il problema è di chi ha il potere e la possibilità economica – pubblico o privato che sia – che dovrebbe sostenere i talenti, imparare ad avere uno sguardo più ampio ed uscire dai maledetti meccanismi che purtroppo tendono a fossilizzare il substrato culturale di una comunità, che è onnivoro ma si ciba di sé stesso.

I sacrifici però sono stati ripagati da tutti i numerosissimi riconoscimenti e premi a livello europeo e internazionale che state collezionando. Cosa significa questo per il vostro lavoro artistico?

I premi che stiamo ottenendo sono legati al cortometraggio “Borges” (ne ho parlato qui: https://www.corrierepl.it/2022/11/15/bari-casa-delle-culture-perche-le-mie-ali-sono-fatte-di-sabbia-e-borges-atti-performativi-per-lintegrazione/ ), un lavoro straordinario che in qualche modo ha delle affinità con “Il Castello” in quanto è anche lui figlio di un periodo in cui sono molto dentro il realismo magico, il Surrealismo. Abbiamo vinto – ti cito i più recenti – il premio come miglior Short Film Experimental e la menzione speciale della giuria come Miglior corto internazionale entrambi al Malta Independent Film Award e poi nella sezione documentari il premio speciale al Turkey Golden Wolf Film Award. Questi riconoscimenti hanno un significato importante per me perché dimostrano che è stata colta la qualità del lavoro realizzato. Non ho mai creato un progetto con l’intento di ricevere dei premi; noi abbiamo inviato il corto ai Festival indipendenti/underground del settore e inaspettatamente poi sono arrivati apprezzamenti dall’India alla Tanzania, dal Belgio al Sudafrica. Una reazione davvero così incredibile che agli altri appare irreale, eppure può accadere. Ma il motivo per cui siamo indubbiamente più contenti è che speriamo di aver contribuito ad ampliare il dibattito sulla tematica madre del cortometraggio, ossia l’immigrazione e la relazione che ciascun migrante e ciascuno di noi ha con il proprio corpo, che è l’unica cosa che noi abbiamo alla fine quando lasciamo un paese e tutto ciò che è lì, famiglia, amici, cultura.

Il mio concetto preferito: la perdita, il lascito, l’eredità dei corpi”, hai infatti scritto. Cosa intendi?

Questo passo de Il Castello sintetizza in qualche modo il mio pensiero – ed è infatti rintracciabile in modo profondo soprattutto in Borges – perché per me tutto, anche il lavoro che faccio con gli attori, nasce dal corpo: è lì dentro che abbiamo la nostra anima e lei spesso vuole uscire dal corpo perché non riesce a comunicarci. Il più delle volte il corpo è assoggettato alla nostra volontà, alla nostra mente, mentre in realtà ha un suo modo di comprendere le cose, un suo linguaggio fondamentale. Il lasciare, l’abbandonare e sacrificare noi stessi è il modo di rendere sacro il nostro corpo, ma anche la relazione che abbiamo con esso. Ne Il Castello questo concetto si riferisce in particolare ad uno dei racconti in cui c’è una donna che vaga nel bosco alla ricerca dei pezzi del corpo di suo fratello, con l’intento di ricomporlo dopo essere stato giustiziato da una divinità perché in vita non si era comportato bene. Lui, infatti, aveva perso il lume della ragione e aveva maltrattato la sorella, la quale alla fine della ricerca riesce a ritrovare soltanto una mano. Quindi, il tema della perdita di coscienza e del “sé”, unita al lascito del corpo – anche a pezzi – ritengo sia ciò che segna il nostro passaggio sulla terra, la nostra eredità.

Attori: Giovanni Di Lonardo, Rossella Giugliano, Federico Gobbi, Pierpaolo Vitale / Costumi: Silvia Cramarossa / Meccaniche di palco: Fabrizio Zerbinati / Foto di scena: Maria Panza

Per maggiori informazioni: http://www.teatrodellebambole.itinfo@teatrodellebambole.it

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