Nel quinquennio 2019-2023 secondo quanto riportato dall’Osservatorio Suicidi in Divisa, ci sono stati 288 casi di suicidio tra i lavoratori delle Forze dell’Ordine.
In realtà il numero stimato è maggiore, in quanto circa il ben 30% di essi sfugge a qualsiasi rilevazione per volontà delle famiglie.
Nel 2022 sono stati addirittura 72 e dall’inizio del 2023 i suicidi sono già 39. Una lista che si prevede essere solo in crescita.
Anni addietro su una applicazione usata dal personale delle forze armate venne indetto un sondaggio sulla ipotetica causa delle morti in divisa. Il risultato fu ottenuto grazie alla partecipazione di 2455 militari, secondo i quali per il 79% il movente del suicidio era da ricondurre alla poca serenità lavorativa e il 21% ad un avvilimento dello stipendio non gratificante in rapporto all’enorme rischio e responsabilità che comporta e di una meritocrazia molto intirizzita.
Il salario è ritenuto assolutamente insufficiente, ma è la serenità ad essere quasi del tutto assente, e per quanto ci possano essere i cosiddetti ‘sportelli di ascolto’ messi a disposizione dallo Stato, definiti da molti ‘uno specchietto per le allodole per pulirsi la coscienza’, i problemi di fondo dei militari sono ben altri.
La causa del suicidio, viene istantaneamente ricondotta come personale, diviene arduo capire e dimostrare quando quel “personale” sia stato determinato da un problema professionale, come potrebbe essere ad esempio un disturbo post traumatico da stress legato al rientro da teatri operativi, o dalla lontananza dalla famiglia per la frequente difficoltà di avere un ricongiungimento familiare.
Il sostegno reale alle famiglie dei militari costretti a continui trasferimenti, soprattutto per la Marina che ne prevede numericamente molto di più di ogni altra Forza Armata, impedisce di avere una vita e partecipazione familiare dignitosa e normale dove mogli e figli non debbano essere ‘nomadi’ perenni.
Un qualsiasi padre di famiglia vorrebbe garantire ai propri figli una continuità scolastica e nei rapporti sociali, ma ciò viene del tutto negato a causa dei frequenti trasferimenti, mettendo a rischio persino la stabilità coniugale.
Altra fonte di grande malessere e delusione istituzionale che si riversa nell’apatia lavorativa è il rifiuto della domanda di trasferimento per il rientro nella propria sede di preferenza che viene accolta positivamente dopo svariati anni di fuori sede dopo la sua presentazione.
Qualunque sia il motivo che conduce al suicidio come via risolutiva o d’uscita alla pesante quotidianità e oppressione psicologica militare, è ora che se ne parli e vi si ponga un rimedio, ma serio.
“La popolazione – interviene il Segretario Generale Componente Marina del SIULM (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Militari) – è molto simile ad un corpo umano. I globuli rossi, più numerosi, rappresentano figurativamente gli operai, i politici, gli imprenditori e i commercianti che si occupano di produrre reddito e far girare l’economia.
Le piastrine sono figurate dai medici, infermieri, pompieri, protezione civile, insomma tutti coloro che si occupano della cura e della protezione della persona.
Infine – prosegue – ci sono i globuli bianchi che si occupano della sicurezza e della corretta funzione dell’intero sistema difendendo l’organismo e bloccandone le infezioni.
Chi può avere un compito simile se non i militari e la polizia?
Ogni classe sociale e ogni lavoro ha la sua specificità, ma ciascuno è indispensabile all’altro ed è fondamentale fare sinergia per garantire la sopravvivenza dell’intera società.
Ora i nostri globuli bianchi – continua il Segretario – hanno un problema; è serio e da troppo tempo viene taciuto per delicatezza o perché spaventa, ma non si può più ignorare: in Italia tra le Forze Armate e le Forze dell’Ordine c’è quasi un suicidio a settimana. E si tratta di un numero, purtroppo, in continuo aumento.”
A tal proposito il SIULM si sente in dovere di richiamare l’attenzione dei vertici militari sul riconoscimento di tale fenomeno.
Che venga creata una commissione parlamentare di inchiesta e che si attuino riforme da adottare in tempi brevi per frenare questo gesto estremo a cui molti militari, senza ascolto, ricorrono.
A tal proposito il SIULM si fa portavoce e chiede che venga monitorato il numero delle vittime in divisa, perché non può essere una mera coincidenza il suo continuo aumento.
Il Ministero della Difesa dovrebbe intervenire affinché venga reso noto un reportage statistico dettagliato dei suicidi per capire in quale fascia d’età si verificano maggiormente, in che corpo armato sono più frequenti e in quale regione, con la speranza di averne un quadro sempre più chiaro e intervenire laddove c’è la falla.
“Vogliamo aiutare i colleghi – conclude il rappresentante SIULM- a superare i momenti di debolezza e non lasciarli soli, perché lo Stato come buon padre di famiglia deve proteggere i propri figli e può farlo con un’analisi del sistema militare e rivedendo l’impiego del personale, le norme delle operazioni militari e di rapporto gerarchico-funzionale, non per ultimo i trasferimenti continui di sede in sede, di città in città, che creano grande sofferenza e discrepanza familiare.”
Occorre tendere non una, ma due mani a chi sceglie e giura di dedicare la vita alla Repubblica, e non lasciare inascoltato l’appello di bisogno e disagio di questi giovani militari.
I militari hanno giurato di rappresentare e difendere la Patria Italia per tutti i giorni della propria vita a nome di tanti sacrifici, ma non ai limiti della vita stessa.