“Proposta indecente” era il titolo di un celebre thriller americano del 1993. E potrebbe essere benissimo anche il nome della recente iniziativa, avanzata dall’Unione europea nei confronti dei coltivatori italiani e accolta in Emilia-Romagna: l’invito a interrompere la propria attività, lasciando i terreni incolti per un ventennio esatto a partire dal 2024, in cambio di un compenso che varia da 500 a 1500 euro annui, il massimo ottenibile per ogni ettaro di appezzamento non curato.
L’intervento SRA26: (sotto)sviluppante e per nulla resiliente
Questa bell’idea, finanziata con fondi europei del tipo FEASR (e, quindi, soldi pubblici) e lanciata nel quadro del piano strategico PAC 2023-2027 dal bando comunitario denominato “Sviluppo rurale” (da poco abbracciato a livello regionale con una delibera della giunta norditaliana, che pone nel 2024 i termini ultimi delle domande di sostegno per candidarsi al sussidio), pare far parte di un più ampio progetto dell’Unione europea, dato che il cronoprogramma sotteso a questo piano di Bruxelles sembra inequivocabilmente incentrato sull’aspetto ambientale e, quindi, rientrante nell’ottica della sostenibilità ecologica propagandata fino allo sfinimento dalla narrazione “verde”.
Per averne conferma è sufficiente dare uno sguardo al triplice obiettivo specifico fissato dall’intervento ACA26 per il “ritiro seminativi dalla produzione”:
- “OS4 – Contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento a essi, anche riducendo le emissioni di gas a effetto serra e rafforzando il sequestro del carbonio, come pure promuovendo l’energia sostenibile;
- OS5 – Favorire lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali come l’acqua, il suolo e l’aria, anche riducendo la dipendenza chimica;
- OS6 – Contribuire ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi”.
Se soltanto ci fosse inserita anche la parola “resilienza” – che si fa sempre in tempo ad aggiungere, comunque – sarebbe un sunto perfetto della tanto contestata, quanto utopica e dannosa, “Agenda 2030” delle Nazioni Unite.
Impatti e motivazioni di certe posizioni
La decisione di chiedere ai produttori del quarto complesso italiano (per numero di aziende agricole) di interrompere gli approvvigionamenti alla catena alimentare in nome della lotta alla CO2 non solo solleva domande cruciali sulla base concettuale stessa di “sviluppo rurale” (e sulla sanità mentale di chi abusa del termine), ma pone anche dei dubbi sull’ossimoro palese che creando carenza si possa in qualche modo favorire una crescita.
La mossa, al contrario, nel breve tempo potrebbe portare a una probabile ulteriore dipendenza dalle multinazionali straniere del settore alimentare, con l’importazione di prodotti esteri – che nemmeno s’avvicinano ai nostri, né per qualità né per salubrità – e un conseguente sempre maggiore impoverimento produttivo ed economico dell’Italia. Nel lungo periodo, poi, chi garantisce che da qui a vent’anni una nuova legge non punti, per assurdo, persino ad espropriare tutte le terre che non sono state ben tenute (condizione che, seppur da poco, è prevista ora dalla Costituzione)? In tal senso, alcuni vedono in quest’azione comunitaria l’ennesima contraddizione lampante di quell’agire “green“, tipico davosiano, che studia come comprare tutto e subito per impadronirsi dell’intero futuro collettivo più in là.
Resta da vedere se tutto ha un prezzo (compreso il denaro stesso, il cui valore fra vent’anni, molto probabilmente, sarà convenzionalmente dimezzato, se non peggio) e se l’offerta di 1500 euro annui ad ettaro di terreno sarà già sufficiente per convincere gli agricoltori a rinunciare alla cura dei propri appezzamenti e delle loro produzioni. L’auspicio è sempre che la gente “apra gli occhi“, cominciando a prevedere meccanismi e dinamiche ingannevoli che possono nascondersi dietro a certe “proposte indecenti” (anche perché è raro che chi non ha mai regalato denaro cominci a farlo ora, in tempi di crisi…). E che la passione per il lavoro e, soprattutto, l’importanza di avere una propria sussistenza qualitativa (detta sovranità) alimentare possano resistere ad ogni tentativo di speculazione ecoterritoriale.
Fonti online:
ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Arianna Graziato del 26 dicembre 2023), portale agricoltura-caccia-pesca del sito della Regione Emilia-Romagna, portale legislativo dell’Unione europea, sito di Rete Rurale Nazionale (RRN), sezione Agricoltura e sviluppo rurale del sito istituzionale della Commissione europea, sezione Atti amministrativi del sito della Regione Emilia-Romagna, Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite, Normattiva;
Canali YouTube: Regione Emilia-Romagna.
Antonio Quarta
Redazione Corriere di Puglia e Lucania