Principale Economia “Vendesi Italia”: Giorgetti (a Davos!?!) accontenta gli investitori stranieri

“Vendesi Italia”: Giorgetti (a Davos!?!) accontenta gli investitori stranieri

Sembra di percorrere un viaggio nel tempo che ci riporta alla memoria il 2 giugno 1992 quando, a bordo del panfilo “HMY Britannia” – “gentilmente” concesso dai reali inglesi – il ministro del Tesoro italiano dell’epoca, Mario Draghi, diede l’incipit alla lunga serie d’acquisizioni private delle aziende pubbliche nazionali, davanti ad una moltitudine di finanziatori stranieri.

“Dovremmo avviare un piano di riduzione del debito con gli incassi dalle privatizzazioni”, disse in quell’occasione ai rappresentanti del gruppo bancario Goldman Sachs (che poi trasse notevoli guadagni da quelle cessioni) colui che – per un curioso gioco delle parti – successivamente ed esattamente nel medesimo istituto d’affari trovò anche lavoro.

Oggi, invece, pare che dovremmo ringraziare il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, se ci torna in mente quel déjà vu: proprio quel “brutto ricordo” che, dopo aver visto volar via in un trentennio la quasi totalità dei “gioielli di famiglia“, credevamo essersi oramai sbiadito.

Rappresentanze della patria nel covo della finanza privata, buono no?!

Presente alla terza giornata dello svizzero World Economic Forum, l’impegno annuale dove pochi “poteri forti” riescono ad influenzare – in negativo – le scelte statali di molte amministrazioni pubbliche (che, evidentemente, si lasciano anche abbindolare), il leghista ha dichiarato con disinvoltura: “Le operazioni che abbiamo avviato, dal Monte dei Paschi ad altre anche molto complesse, come la NetCo di TIM, hanno registrato “ampia soddisfazione” tra gli investitori internazionali, così come “molto interessati” si sono detti anche al piano di privatizzazioni”.

Se non altro interessante, diremmo. Perché raccontare l’entusiasmo dei capitali globali del WEF, in vista di una possibile (s)vendita delle nostre imprese statali, è un po’ come descrivere la bava che cola dalle bocche dei lupi entrati all’interno in un pollaio.

E, anche se ormai è rimasto quasi il nulla nelle casse pubbliche di quel glorioso Paese che, dal secondo dopoguerra in poi, è riuscito a rialzarsi col sudore della fronte e a consacrarsi agli occhi del mondo come potenza industriale, pare proprio che un’ulteriore “passata di spugna” in quei cassetti debba per forza essere data. La cosa che più fa riflettere? È che il tutto avverrà persino con la “benedizione” delle figure istituzionali votate a tutela della nostra ricchezza, o così si pensava e si diceva fino a pochi mesi fa.

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“Avanti un’altraaa!”, e toccò all’ENI…

Ne è dimostrazione anche il fatto che non c’è stata alcuna smentita ufficiale su quanto trapelato, nelle ultime ore, dalle pagine di Bloomberg (uno dei principali quotidiani finanziari statunitensi): il governo italiano avrebbe dato l’assenso ad una più che probabile e parziale vendita azionaria dell’ENI, l’Ente Nazionale di Idrocarburi fondato da Enrico Mattei, di cui lo Stato detiene per ora il 32%.

Secondo il giornale americano, infatti, il Ministero del Tesoro si “disfarà” del 4% delle suddette quote entro la prossima bella stagione, portando in cassa circa 2 miliardi di euro (e continuando a “raschiare il fondo del barile”, nel solco delle stesse strategie economiche totalmente folli intraprese dalle ultime generazioni di politicanti, quasi fosse complicato capire che il denaro ricavato da tali “affari” ha un valore effimero e facilmente inflazionabile; e che, invece, sarebbe assai meglio cercare di portare avanti un modello di ri-nazionalizzazione degli asset fondamentali, che produrrebbe lavoro nell’immediato e conseguente crescita finanziaria e sociale a lungo termine – oltre ad una trasversale rinascita culturale -).

Le motivazioni addotte a tali posizioni dal governo Meloni sono sempre le stesse, quelle del 1992: il piano di privatizzazioni servirebbe ad abbattere il deficit italiano (che non generiamo soltanto noi, ma che può essere “manipolato” dai settori bancari extranazionali a piacimento), un sillogismo che non ha alcuna conferma storico-statistica sinora, anzi: nel 1992, agli albori delle “svendite”, il rapporto debito pubblico su PIL era del 105,5%; ma nel 2001, alla chiusura della prima tornata di privatizzazioni di alcuni settori statali, il quoto era addirittura aumentato, toccando quota 108,9%. Tuttavia, la frenesia di “liberarsi dei beni di casa” (anche se la casa è la nostra…) pare essere incontenibile, persino quando a Palazzo Chigi dimorerebbe un esecutivo autodefinitosi “a guida sovranista”.

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“Accattatevill!”

Come dimenticare la recentemente ufficializzata entrata del fondo d’oltreoceano KKR nella TIM? E che dire della rapida “vaporizzazione” della compagnia aerea nazionale Alitalia, volontariamente ridotta prima in ITA Airways e poi quasi regalata alla tedesca Lufthansa (si sarebbero racimolati circa 325 milioni di euro in cambio del 41% delle quote azionarie, dopo una trattativa che Giorgetti è stato persino così orgoglioso di aver condotto in porto personalmente)? E non abbiamo dimenticato nemmeno Monte dei Paschi di Siena, nelle casse del cui gruppo è stato lasciato un investimento pubblico pari a 9 miliardi di euro per ottenere il 64% delle azioni, il cui 25% è stato poi rivenduto (lo scorso novembre) in cambio di meno di 1 miliardo.

E senza contare che sull’altare dei “sacrificabili” sarebbero pronte a salire anche Poste italiane e Ferrovie dello Stato (due simboli del Made in Italy, gloriosi e proficui, oltre che storici). Che ne è delle promesse fatte in campagna elettorale, dove si annunciavano le “statalizzazioni economiche e la ripresa dei beni collettivi nazionali?

È l’incapacità di avere una visione d’insieme o è pura negligenza politica quella che caratterizza l’azione di quest’esecutivo? O, peggio, si è deciso (e forse da tempo) di agire seguendo la segnaletica stradale tracciata altrove e da altri, sicuramente estremamente pragmatici ma scarsamente interessati ad un’italica ripresa economica? Chi abbiamo eletto e, soprattutto, perché?

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C’è qualcuno che sa guidare una baracca!?

Ce lo si chiede perché, come riportava ByoBlu nell’ottobre del 2022, a poche ore da quello che sarebbe stato lo storico insediamento della prima donna a guida di Palazzo Chigi, Bloomberg – o, alias, la trasposizione giornalistica degli interessi finanziari angloamericani – aveva pubblicato senza remore un lungo articolo, rivelatosi molto “pungente” nei confronti del nascituro governo italiano: “I membri della coalizione di destra hanno promesso di ri-nazionalizzare completamente la banca Monte dei Paschi di Siena, Telecom Italia e di bloccare la vendita della compagnia aerea nazionale ITA Airways. Questo processo metterà pressione sul debito italiano. I vigilantes obbligazionari sono pronti ad affrontare il governo di estrema destra di Roma”.

Tutto chiaro, quindi, se la matematica non è opinione: al volante ci sarebbe l’alta finanza internazionale, che si arroga il diritto di “intimidire” un esecutivo nazionale altrui in base alle proprie necessità. Il quale (esecutivo), prima chiede al popolo di essere votato, promettendo di avere – se non le forze – almeno il coraggio e la dignità di reagire a certi dictat che non ci appartengono (mai ci sono appartenuti e mai ci apparterranno). E poi lo prende in giro, facendo esattamente il contrario di quanto annunciato pressoché su tutto (cibo a base di insetti, “direttiva spiagge” etc. etc.)

Mah, a saperlo avremmo votato per Nonna Papera, tanto, alla fine… a chi importa?!?

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Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Michele Crudelini del 19 gennaio 2024), Il Fatto Quotidiano, Borsa Italiana, ANSA, Bloomberg;

Canali YouTube: Sky tg24, Ipernick The Great, Fanpage.it, Siena News.

Antonio Quarta

Redazione Corriere di Puglia e Lucania

Il Corriere Nazionale

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