L’emblema della sapienza femminile è, storicamente, attribuita a Caterina d’Alessandria, martire natia di Alessandria d’Egitto a cavallo tra il III ed il IV secolo.
Figlia, prematuramente orfana, di re Costa – così come emerge dalla raccolta biografica medievale, “Legenda Aurea” (1260-1298) – ricevette un’accurata istruzione alle arti liberali e fu chiesta in sposa da molti uomini di alto rango;
Caterina declinò ogni offerta di matrimonio poiché, leggenda narra, le apparve in sogno la visione della Madonna con il Bambino la quale, infilandole l’anello al dito, la rese sponsa Christi.
Nel 305, un imperatore romano riconosciuto come Massenzio dalla Leggenda Aurea – seppure altre versioni riconoscono alla persona dell’imperatore Massimino Daia il quale fu proclamato Cesare per l’oriente nello stesso anno – tenne dei festeggiamenti in proprio onore ad Alessandria.
Per l’occasione, Caterina si presentò a palazzo; nel corso dei festeggiamenti, secondo il rito pagano all’ora proclamato, si svolsero sacrifici di animali e, la donna, rifiutando certe usanze “brute” si recò dall’imperatore per persuaderlo ad abbracciare la fede di Gesù Cristo ed argomentando la sua richiesta con spiegazioni di stampo filosofico.
L’imperatore, colpito dalla bellezza e dalla cultura posseduta dalla nobildonna, convocò un gran numero di retori affinché la convincessero a convertirsi al paganesimo; i retori, non solo persero nell’ardua impresa di conversione della fede omaggiata da Caterina ma, a loro volta, furono da lei convertiti.
L’imperatore ordinò l’esecuzione della pena capitale prevista per i disertori della fede dei retori e, dopo aver ricevuto l’ennesimo rifiuto da Caterina, la condannò a morire con il supplizio della ruota dentata. Lo strumento di tortura si ruppe e Massenzio fu obbligato a far decapitare la Santa, dal cui corpo sgorgò del latte, simbolo della sua purezza.
Nelle iconografie la Martire e Santa, Caterina di Alessandria, è raffigurata, oltre che con la palma, simbolo del martiro, anche con un libro che è volto a simboleggiarne la sapienza: ella è, ancor‘ oggi, ritenuta l’emblema della sapienza femminile.
Le scrittrici in epoca medievale tra Alto e Basso Medioevo
Gli studi storici denotano una forte depressione dell’alfabetismo femminile che connota l’Alto Medioevo nella quale era registrata una generale incapacità di leggere e scrivere che colpiva maggiormente le donne, soprattutto di basso rango sociale.
Tuttavia quest’analisi trova una forte antitesi nella certezza di donne letterate assai note. Tra i nomi risaltano, senza alcun dubbio, quello della nobildonna Dhuoda (800 – 843 ca.), della monaca e poetessa Rosvita di Gandersheim (935 – 974 ca.), il medico salernitano Trotula de Ruggiero (1050 – 1097) quello della monaca, scrittrice e teologa Ildegarda di Bingen (1098 – 1179).
In un epoca durante la quale il cenobio rappresentava una “scuola al femminile”, l’eredità culturale proveniva indubbiamente dalla tradizione più arcaica ereditata proprio dai monasteri, centri di produzione e diffusione dei saperi.
A tal proposito, come cenobio femminile si ricorda il monastero fondato a Piumarola da Santa Scolastica da Norcia, sorella di San Benedetto e capostipite dell’ordine delle monache benedettine;
in questi centri di cultura, diffusi dalla nascita del monachesimo occidentale, entro i quali si svolgeva la vita monastica di coloro che abbracciavano la Sancta Regula, le donne alternavano alla preghiera momenti di studio e lavoro dedicato anche alla copiatura e produzione dei volumen.
Dhuoda: autrice de Liber Manualis
Il Medioevo vede tuttavia la personalità di spicco della nobildonna d’età carolingia, Dhuoda.
Figlia del duca Sancho I di Guascogna e sposa del duca Bernardo di Settimania, Dhuoda fu autrice del Liber Manualis, trattato pedagogico dedicato e destinato all’educazione del figlio Guglielmo, come si può denotare dal suo incipit:
“Molte cose che ci restano nascoste sono chiare per molti, e se i miei simili dalla mente ottenebrata mancano d’intelligenza, il meno che si possa dire è che io ne manco ancora di più… Ma sono tua madre, figlio mio Guglielmo, e le parole del mio manuale sono rivolte a te”
Non vi sono molte notizie in merito alla vita della nobile intellettuale, tuttavia, del destinatario dell’opera – suo figlio Guglielmo – si è a conoscenza che sia stato condannato alla pena capitale nel 489.
Il trattato pedagogico Liber Manualis, composto da 73 capitoli, è stato redatto nel periodo intercorrente tra il 30 novembre 841 ed il 2 febbraio 843, date indicate con estrema precisione dalla sua autrice.
Dhuoda, nel suo trattato in latino esalta l’amore verso Dio, il fratello minore Bernardo, il padre, gli amici, i compagni, i poveri e gli infelici; i precetti essenziali del tomo vengono facilitati alla memorizzazione con il sussidio di un’aritmetica simbolica.
La grande cultura della donna dal pennino pedagogico si evince dai numerosi riferimenti alle Sacre Scritture, a Gregorio Magno e Sant’Agostino nonché alla Sancta Regula che dovrebbero scandire per suo figlio, le ore di canoniche di preghiera che occuperebbero la sua giornata.
L’opera si presenta, altresì, ricca di riferimenti a grammatici romani ed altri teologi e filosofi di epoche antecedenti.
Trotula de Ruggiero: non solo donne di lettere
Nata a Salerno, nell’A.D. 1050, da una famiglia nobile di origini normanne, Trotula de Ruggiero intraprese gli studi superiori e di medicina.
Considerata la prima donna-medico e la prima scienziata d’Europa, Trotula de Ruggiero, convolò a nozze con Giovanni Plateario, nobile esercitante la professione di medico ed operativo presso la Scuola Medica Salernitana – ebbe due figli, rispettivamente Giovanni e Matteo, i quali ripercorreranno le orme dei genitori in ambito professionale.
Trotula de Ruggiero, a capo di una equipe medica al femminile, inaugurerà la nascita della branca medica di ostetricia e ginecologia le cui primordiali nozioni di ambito medico son rinvenibili nel trattato “De passionibus mulierum ante in et post partum”, redatto quattro secoli prima rispetto alla data della sua pubblicazione corrispondente al 1544.
Una sorta di “proemio” che sottotitola l’opera anticipa con le seguenti parole, pubblicate in Italia, per la prima volta nell’anno 1547:
«Libro unico di Trotula sulla cura delle malattie delle donne prima, durante e dopo il parto mai edito in precedenza in cui vengono minutamente illustrate le infermità e le sofferenze che capitano al sesso femminile, la cura dei bambini e dei ragazzi al momento del parto, la scelta della nutrice oltre alle restanti cose che vi si connettono, le prescrizioni riguardanti entrambi i sessi, le esperienze infinite di varie malattie con alcuni preparati che servono ad abbellire il corpo.»
L’ intellettuale di origini salernitane ritiene la donna connotata, nel suo insieme, dall’equilibrato legame di bellezza, salute, armonia e cura; il corpo, secondo lei, non è suddivisibile al pari del contesto relazionale che accompagna gli eventi della nascita, della cura del bambino e della sua relazione con la madre e con la sua nutrice.
Nel tomo “De passionibus mulierum ante in et post partum” sono altresì analizzate le patologie ginecologiche che, spesso, possono ritenersi collegate agli umori ed allo stile di vita della paziente, evidenziandone che talune possono verificarsi in più alta percentuale nella donna nubile piuttosto che in una coniugata.
Dall’evento del parto, durante il quale un ruolo importante svolge la benevolenza di Dio, al termine del puerperio, l’intellettuale e studiosa Trotula de Ruggiero, dispensa alle donne preziosi consigli sulla cura ed igiene personale e del neonato prescrivendo altresì un periodo irrinunziabile di riposo, dieta sana e tranquillità.
Le nozioni mediche della nobildonna salernitana, tuttavia, non si arrestano alla prescrizione delle cautele da seguire dopo l’evento ma l’accurata conoscenza medica viene altresì evidenziata dallo studio riportato in merito a patologie che potevano aver origine proprio a seguito delle complicanze del parto o della gravidanza: si annoverano tra queste la cecità, i disturbi che colpiscono l’apparato digerente e la tonsillite.
Oltre al nome di Trotula, nell’ambito della Scuola Medica Salernitana risaltano anche Sabella, Rebecca Guarna e Costanza Calenda; in un mondo accademico improntato quasi esclusivamente sulla formazione maschile, questa realtà si pone in antitesi, allontanandosi da quelle credenze che, nel mondo intellettuale, ponevano al margine le donne.
A tal proposito, alcune testimonianze storiche rivelerebbero che, durante il regno di Luigi IX di Francia, il sovrano si recò in Terrasanta in compagnia del suo medico personale, una donna di nome Hersende.
In ambito medico, filosofico e letterario non manca l’illustre nome di Dorotea Bucca (1360-1436) insegnante della Scuola di Bologna presso la quale conseguì un dottorato in discipline filosofiche occupando la cattedra di docente, ancor prima occupata da suo padre.
Dorotea Bucca (conosciuta anche con il cognome “Boccia”) fu la prima donna ad essere titolare di una cattedra universitaria e a “stravolgere” quella che, sino al quel momento, era stata una titolarità professionale esclusivamente maschile.
Ildegarda di Bingen: dottore della chiesa
Hildegard von Bingen, Santa ed investita del titolo di “Dottore della Chiesa” per volere di papa Benedetto XVI, è ricordata come una donna tra le più talentuose della sua epoca.
Ella fu profeta della fede, guaritrice, erborista, naturalista, cosmologa, filosofa, artista, poetessa, drammaturga, musicista, linguista e consigliera politica.
Fondatrice del monastero di Bingen am Rhein, viene ricordata per i suoi contribuiti in ambito scientifico con il trattato “Physica”, conosciuto con il nome di “Libro delle medicine semplici” ed il trattato “Causae et cura” riguardante la c.d. “medicina composta”, le sue cause ed i suoi rimedi.
Ildegarda, in una missiva del 1146 indirizzata a San Bernardo di Chiaravalle, descrisse i suoi saperi con toni di modicità e di altrettanta elevatezza spirituali con le seguenti parole:
«Io sono un essere senza istruzione, e non so nulla delle cose del mondo esteriore, ma è interiormente nella mia anima che sono istruita.»
Monaca dai molteplici interessi, si dedicò altresì alla musica: famosa è la sua opera “Symphonia harmoniae celestium revelationum” la quale si presenta suddivisa in due parti: i Carmina (Canti) e l’Ordo Virtutum (La schiera delle virtù, opera drammatica musicata).
Ildegarda fu anche un’abile sperimentatrice della cosiddetta “lingua artificiale” od ignota la quale venne da lei adoperata per fini mistici; la lingua da essa adoperata è stata, in parte, descritta nell’opera a sua firma “Lingua Ignota per hominem simplicem Hildegardem prolata”.
Nei suoi trattati “Lingua ignota” e “Litterae ignotae”, compaiono parole in una lingua sconosciuta di sua invenzione, ma composta prevalentemente di fonemi presenti nella lingua tedesca. Esso prosegue con una citazione delle sue parole:
«Homo autem ad imaginem et similitudinem Dei factus est, ut quinque sensibus corporis sui operetur; per quos etiam divisus non est, sed per eos est sapiens et sciens et intellegens opera sua adimplere. […] Sed et per hoc, quod homo sapiens, sciens et intellegens est, creaturas conosci; itaque per creaturas et per magna opera sua, quae etiam quinque sensibus suis vix comprehendit, Deum cognoscit, quem nisi in fide videre non valet.»
[«L’uomo infatti è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, affinché agisca tramite i cinque sensi del suo corpo; grazie ad essi non è separato ed è in grado di conoscere, capire e compiere quello che deve fare […] e proprio per questo, per il fatto che l’uomo è intelligente, conosce le creature, e così attraverso le creature e le grandi opere, che a stento riesce a capire con i suoi cinque sensi, conosce Dio, quel Dio che non può essere visto se non con gli occhi della fede.»]
I suoi scritti portano all’attenzione un’esperienza divina che vede coinvolta, non solo la razionalità, bensì tutti i sensi, esterni ed interni, che caratterizzano l’essere umano, figlio di Dio.
Ritenuta una donna ed una ecclesiastica dall’inestimabile profilo intellettuale, nel 2012 papa Benedetto XVI la nominò “dottore della Chiesa” ricordando la stima che verso ella nutrirono anche i suoi predecessori.