Con l’Elisir D’Amore di Donizetti si è conclusa ieri sera la stagione invernale del Taranto Opera Festival
Tra sorrisi velati di malinconia e situazioni esilaranti l’amore impossibile di Nemorino per Adina ancora coinvolge il pubblico e gli regala il sogno, ma anche la riflessione. Una storia che, sin dalla sua prima rappresentazione, avvenuta a Milano nel 1832, ha riscosso consensi da parte delle platee, quasi a testimoniare che la trama improbabile dell’Elisir D’Amore, in realtà, è il tessuto narrativo in cui s’intersecano temi e situazioni fuori dal tempo, ma reali.
E, se l’onirico diviene concreto anche in una società così apparentemente avulsa dai toni melensi del romanticismo, allora trova una sua risoluzione il perenne enigma del fascino intramontabile del melodramma.
Nell’Elisir D’Amore, infatti, composto da Donizetti, su libretto di Felice Romani, il vero protagonista è l’amore. Quell’amore impossibile di uno squattrinato contadino per la bella Adina che lo induce a credere persino alle bufale di un falso dottore, quale Dulcamara. Quell’amore che, al di là delle differenze economiche e sociali, comunque trionfa.
Un messaggio universale e sovratemporale che, mai come oggi, ha una sua valenza non solo simbolica, ma anche etica.
Ieri, al teatro Orfeo, la fiaba
Alla luce di queste premesse appare scontata la liceità del termine fiaba, posto che in essa si ravvisino quei contenuti che possono indurre alla riflessione. Una riflessione che può far sperare in un domani migliore. Al di là del sogno, al di là di una quotidianità spesso difficile.
Ed è in questa chiave di lettura che l’Elisir D’Amore, oltre alla potenza espressiva della musica di Donizetti, pur nella sua apparente banalità narrativa, trova ancora l’entusiasmo del pubblico. Specie se la regia, come quella di ieri sera di Vivien Hewitt non ne altera lo spirito, dandole la giusta collocazione.
Tutto infatti, nella rappresentazione di questo gioiello della produzione di Donizetti, è stato gradevole. E, pur nei limiti di uno spazio scenico esiguo, lo scenografo Damiano Pastoressa ha saputo ricreare l’ambiente giusto, ricco cromaticamente, semplice, ma incisivo.
In esso hanno trovato la loro giusta collocazione gli interpreti e il coro dei Tarenti Cantores, diretti da Tiziana Spagnoletta e le situazioni, gli intrighi, le malinconie hanno preso forma, concretezza. Ciò, grazie anche ai costumi, elaborati da Formediterre, che hanno messo in risalto ogni singolo personaggio.
La musica, il canto
E, in questo scenario, così vivo, la musica ha svolto il ruolo che le compete, soprattutto grazie all’ottima direzione d’orchestra del maestro Marc Moncusi. Un vero interprete dei più reconditi significati di una musicalità così complessa come quella di Donizetti.
Ma il vero mattatore di questa rappresentazione è stato il neozelandese Moses Mackay.
Un dottor Dulcamara straordinario, sia per la sua potente vocalità che per le sue capacità attoriali. Un vero istrione che ha colorato la scena di nuove atmosfere, vivendola, ma soprattutto descrivendola, non solo con la sua straordinaria vocalità, ma con i suoi guizzi istrionici.
Di spicco anche le interpretazioni di Carmen Maria Aurora Bocale, nei panni di una convincente Adina, nonché quella di David Costa Garcia, che ha dato a Belcore una sonorità e uno spessore rilevanti.
Notevole l’impegno degli altri interpreti
Cala il sipario
E’ calato così il sipario, con questo ultimo appuntamento, sulla stagione invernale del Taranto Opera Festival che, col suo impegno costante, regala al nostro territorio e ai nostri giovani momenti di pura gioia.
Un bilancio, tutto sommato, positivo per queste rappresentazioni che hanno dato calore e vita alle nostre fredde serate invernali, colorandole di luci, di colori, ma soprattutto di musica, di grande musica.