“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, versi immortali di un autore che forse già da soli bastano a raccontarlo e farne capire la cifra inarrivabile in un tutt’uno tra il suo acutissimo intelletto, la sensibilità assoluta e la solitudine esistenziale propria dei geni incompresi… e dunque di un Cesare Pavese suicida a soli 42 anni, perché incapace di reggere allo svanire del sentimento più importante che ci sia, l’amore, e la delusione di una fama limitata a pochi raffinati, in grado di recepirne la reale grandezza, ma non a tutti. Ovvero il destino dei grandi precursori troppo avanti per il loro tempo e, almeno nel suo caso, non contemporaneo, come meriterebbe di essere considerato, neppure oggi. Quanto basta ad essere cibo per la mente solo per una sparuta élite di intellettuali e non patrimonio culturale collettivo e degno di essere studiato a scuola al pari di Dante, Leopardi, Manzoni o, parlando dei suoi coevi di riconosciuta fama universale, dei più citati, Carducci, Pirandello, Quasimodo, Montale…
Insomma una quasi “damnatio memoriae” annunciata se non ci fossero intellettuali di indiscutibile calibro e importanza non solo nazionale come Pierfranco Bruni (collega ed editorialista di punta della nostra testata) a tener viva la memoria di un «Pavese, scrittore, traduttore, editore e critico letterario attuale e contemporaneo come pochi», anche attraverso i 6 libri e un’infinità di articoli tradotti anche all’estero al suo attivo e un settimo, definitivo, in uscita. “Un gigante della letteratura italiana a spiegarne un altro del ‘900”, parlando di Bruni e Pavese, per un attimo questa la tentazione di sottotitolare cosi questo nostro articolo. Ma eccoci qui con il nostro report, sia pure in ritardo anche rispetto alla chiusura della riuscita manifestazione ”2024 La via della Seta Seta…la via della Pace” (per i 700 anni dalla morte di Marco Polo) che, organizzata dalla “Stargate AdV” a guida di Mariella Ragnini e con comunque una generosa ospitalità della UniBa, ha visto come evento clou proprio una lectio magistralis di Bruni. Ma più che degna, a nostro parere, di altra data e luogo, volendola considerare un altro anticipo a tutti gli effetti (v. Corriere PL.it del 20 gennaio c.a. “Ma cos’è il socialismo oggi?”) delle importanti iniziative in programma per una solenne celebrazione del centenario, l’anno prossimo, della nascita dell’Ateneo Statale barese.
E comunque appuntamento di “grande Cultura dimenticata” all’UniBa, dunque impossibile per noi far passare sotto silenzio questo vero e proprio evento altrimenti destinato a essere praticamente solo un successo afono. Non certo pubblicizzato dalla stampa come meritava, sia per l’importanza del tema proposto che per quella del relatore, indubbiamente un successo e per la qualità del pubblico – un vero e proprio parterre de rois culturale anche da fuori Bari – e per le presenze. E infatti la bella sala non totalmente piena del centro Polifunzionale dell’Università “Aldo Moro” non inganni: borderline con una conventio ad escludendum si è trattato (niente banchetti di libri o copie in vendita) di un vero e proprio imperdibile convegno su un autore, Pavese, tutto da riscoprire e rilanciare, ma organizzato in un giorno feriale e di ripresa delle attività lavorative come è il lunedì e, per di più, ad un orario cruciale, le 18, e cioè quello che per intenderci gli americani definiscono la “rush hour” per antonomasia.
Nessuna rappresentanza ufficiale istituzionale o accademica, ad esclusione degli attenti e sensibili ospiti, noi come stampa ci eravamo, e pure qualche esponente di punta di importanti associazioni culturali, ma tanti gli assenti interessati però poi impossibilitati a venire o forse anche e soltanto scoraggiati anche per i ben noti problemi di parcheggio, vera croce di Bari e del suo, una volta fiorente, piccolo commercio in crisi pure per questo. Soprattutto per chi avrebbe voluto, ma poi non ha potuto esserci, dunque questo report anche per contribuire, nel nostro piccolo, a una campagna di riscoperta doverosa e necessaria di un immenso “genio incompreso” come Cesare Pavese. Concludendo, un evento riuscito sotto ogni punto di vista, e che segna pure un ritorno nel suo tempio d’elezione della grande Cultura per come dovrebbe essere: libera e indipendente da tutto e tutti e, cioè, senza presunzione di primato di appartenenza da parte di chicchessia o vie preferenziali per nessuno.
Enrico Tedeschi