Principale Ambiente & Salute Dal passato al presente dell’amianto: Cavallino ed Andria

Dal passato al presente dell’amianto: Cavallino ed Andria

"Staff removing some asbestos in a post of transformer, Reflection of mask of man opposite was created for cannot be recognized"

Antonio Giordano, scienziato di fama mondiale: “«Il rischio di sviluppare mesotelioma è diventato ambientale piuttosto che professionale. Le peculiari caratteristiche fisico-chimiche dell’amianto giustificano il suo vastissimo utilizzo nell’edilizia per cui, se è presente in grandi quantità in zone come l’Italia, si può solo immaginare quante fibre di residui tossici ci possano essere in zone coinvolte da azioni belliche […] che restano in sospensione nell’aria, che penetrano nelle falde acquifere e nei terreni coltivati». Secondo lo scienziato a preoccupare ulteriormente è il rallentamento delle bonifiche causato dagli elevati costi che  lo smaltimento dell’amianto comporta.

Due secoli fa nella prima metà dell’800 si descriveva alla voce Amianto una sostanza minerale chiamata da Hauy Asbesto flessibile, di colore verde grigiastro o bianco, che consiste in fasce di filamenti, setosi e lunghi, più o meno sottili. Era comune in Piemonte, nel Tirolo e nell’Ungheria, nella Corsica, a Cipro negli Urali. Un elemento molle, leggero, elastico e flessibile che si distingueva già per la proprietà di essere incombustibile. Pertanto sin dai tempi antichi veniva utilizzato per realizzare tessuti e tele per avvolgervi i cadaveri, per averne le ceneri prive di corpi estranei. Diversi lenzuoli di tela d’amianto erano stati ritrovati nelle tombe. Si utilizzava anche per produrre “mantilli” e tovaglie e per imbiancarli si passavano nel fuoco.

Marco Polo, nel racconto del suo viaggio in Cina alla fine del Duecento, il libro “Il Milione”, racconta come in quel territorio lontano dell’Oriente le tovaglie potevano essere lavate mettendole nel fuoco.

Alla fine del Settecento Candida Medica Coeli, una donna molto colta e ampiamente interessata alle scienze naturali, aveva notato nel museo di storia naturale di Como un filato di amianto, trovato negli scavi di Ercolano, la città sepolta dopo l’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. Quindi si propose di riprodurre lo stesso filato usando l’amianto delle vicine cave valtellinesi. Per produrre i tessuti di amianto lo si macerava nell’acqua calda, lo si batteva come per il lino e la canapa, si pettinava con lo scardasso e si filava.

Realizzando uno speciale pettine per tessere ottenne tessuti e guanti che, nei primi anni dell’Ottocento, attirarono la curiosità e l’attenzione anche a livello internazionale. Inoltre riuscì a fabbricare una carta di amianto su cui era possibile scrivere con un inchiostro, resistente al fuoco.

All’epoca il cavaliere Aldini aveva proposto di fare delle casacche di amianto per chi spegneva gli incendi e aveva avviato una fabbrica per filare e tessere il minerale, a vantaggio dell’umanità e a maggior sicurezza degli “spegnitori” che spesso morivano tra le fiamme, vittime del loro zelo.

Nella seconda metà dell’800 la società S.I.A. (Società Italiana Amianto) di Grugliasco (TO) iniziò le sue produzioni manifatturiere, mentre l’avvio dell’estrazione del minerale in Italia è segnalato in Piemonte nel 1868.

Ma la pericolosità dell’amianto era già nota nei tempi antichi. Plinio il Vecchio, nel I secolo dopo Cristo, scrive che gli schiavi che lavoravano con l’amianto indossavano una specie di mascherina per limitare le inalazioni delle polveri, quindi raccomanda ad un amico di «non comprare schiavi che abbiano lavorato nelle miniere di amianto perché muoiono giovani». Malattia professionale ante litteram.

In Italia la messa al bando dell’amianto è del 1992, ma altrove, riportiam il caso degli USA, solo a marzo scorso, su iniziativa dell’amministrazione Biden-Harris, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente ha emanato il divieto di fabbricazione (compresa l’importazione), lavorazione, distribuzione in commercio e uso commerciale di amianto crisotilo, l’unica forma di amianto utilizzata o importata negli Stati Uniti attualmente.

In Italia proseguono i Piani di Bonifica, la formazione del personale per gli operatori coinvolti nelle operazioni di bonifica, poiché devono essere adeguatamente formati e dotati di dispositivi di protezione individuale (DPI), quindi gli incentivi economici per la rimozione dei manufatti in amianto negli edifici pubblici e privati sia a livello statale sia regionale. In Puglia, di recente, sono stati stanziati circa 855mila euro per fornire sostegno ai Comuni, 58 gli aggiudicatari le cui istanze sono state ritenute ammissibili, molti di questi nel Salento.

Aggiungiamo che in Italia l’attuazione della legge del 1992 vede un ruolo importante per i laboratori pubblici e privati, che intendano effettuare attività analitiche sull’amianto, individuando i requisiti minimi e i programmi di qualificazione di tali laboratori, con cadenza almeno biennale.  I laboratori che presentino idonea documentazione riguardo al possesso dell’accreditamento Accredia, per specifiche tecniche di analisi per l’amianto, e che inoltre abbiano partecipato, con risultati positivi, a programmi di intercalibrazione riconosciuti in sede europea o internazionale, sono inseriti nella Lista ufficiale dei laboratori qualificati. La mancata presenza nella lista significa che il laboratorio non ha superato la prova di qualificazione e non ha ottenuto il riconoscimento ministeriale.

Sul sito del Ministero della Salute è pubblicato l’elenco on line periodicamente aggiornato.  Per la regione Puglia il numero attuale dei laboratori inseriti nell’elenco è 18 (diciotto) di cui 16 (sedici) laboratori privati, 1(uno) laboratorio delle Forze Armate e 1(uno) laboratorio di Enti pubblici. Relativamente alla distribuzione sul territorio regionale: 7 (sette) i laboratori che si trovano nella provincia di Bari, 3 (tre) nella provincia di Brindisi, 1 (uno) per la provincia di Foggia, 6 (sei) nella provincia di Lecce e 1 (uno) nella provincia di Taranto.

Nessun laboratorio nella provincia Bat ma, come già analizzato tempo addietro*, proprio ad Andria (BT) era stata prevista la realizzazione di un particolare progetto.

Si tratta di un metodo brevettato più di una decina di anni fa dai ricercatori del Dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna, diretto dal Professor Norberto Roveri, che prevede la trasformazione molecolare dell’amianto. La società Chemical Center S.r.l. ha depositato il brevetto, EP2428254B1, in cui è descritto il processo biotecnologico di distruzione dei manufatti in cemento amianto (lastre eternit) utilizzando il siero esausto di latte.

Il processo brevettato utilizza due rifiuti pericolosi per ottenere prodotti anche commercializzabili come idropittura, idrossido di calcio, carbonato di calcio, concimi e soprattutto metalli (Mg, Ni, Mn, Fe, ecc.), che sono depositati elettrochimicamente.

La Chemical Center S.r.l., azienda certificata TUV, accreditata alla Rete Innovazione dell’Emilia Romagna e premiata dalla Camera di commercio di Bologna per il «Premio Ricerca e Innovazione 2011» per tale processo, ha in seguito ceduto in licenza il proprio brevetto per la costruzione dei primi prototipi dell’impianto industriale alla Società Friulana Costruzioni s.r.l. per le regioni dell’Italia del nord, con l’esclusione dell’Emilia Romagna, alla Project Resource Asbestos S.r.l. (PRA S.r.l.) per le regioni Puglia, Molise e Campania.

Il progetto della PRA S.r.l. ha comportato le realizzazione di un impianto sperimentale localizzato nella zona industriale di Cavallino (Lecce) per sviluppare, testare e calibrare i sistemi impiantistici necessari ad applicarlo su scala industriale. Ad Andria la PRA S.r.l. ha previsto la realizzazione di un impianto pilota di trasformazione manufatti in cemento amianto, localizzato nella zona industriale.

L’impianto sperimentale di trasformazione manufatti in cemento-amianto nel Comune di Cavallino era già stato sottoposto a Verifica di Assoggettabilità a VIA conclusasi nel 2018, con pronuncia della Commissione tecnica di Verifica dell’Impatto ambientale VIA e VAS. La Commissione ha ritenuto che l’impianto sperimentale non dovesse essere assoggettato alla procedura di VIA, a condizione che siano “ottemperate” tutte le condizioni descritte nello Studio di impatto ambientale (SIA) e le condizioni ambientali previste. In particolare è stato previsto che la sperimentazione non duri più di 24 mesi e che non siano trattati più di 20kg/giorno o meglio 400kg/mese. Inoltre non dovranno esserci emissioni in atmosfera di CO2 o altri gas, che dovranno comunque essere stoccati e analizzati. Dovranno essere prodotti studi specifici per analizzare la stabilità nel tempo dei prodotti di scarto e il riutilizzo di tutti i materiali/sostanze di scarto generati dal processo produttivo sperimentale.

In seguito ad alcune problematiche rilevate in fase di esercizio dell’impianto ed alla conseguente sospensione dell’autorizzazione, vi è stata una verifica di ottemperanza presentata nel 2022, relativa alle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA del 2018. La verifica si è conclusa positivamente con un “si ritiene di dover provvedere all’archiviazione dell’istanza in argomento in quanto la stessa concerne proprio il quadro prescrittivo”.

Ovunque, comprensibilmente, prevale la sindrome Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile” (NIMBY), perché si richiedono giustamente condizioni di massima sicurezza per tali impianti.

Per l’impianto di Andria, la Commissione Tecnica per la Valutazione d’impatto ambientale (CTVIA) presso il Ministero dell’Ambiente, si è già pronunciata sulle condizioni per l’elaborazione del progetto e dello studio d’impatto ambientale (SIA) con la Definizione contenuti SIA (Scoping). Il Parere della Commissione (CTVIA) è stato emesso nel luglio del 2016 per un impianto che dovrebbe essere installato  su un terreno di 13.000 mq, nella zona industriale, per un quantitativo giornaliero di 60 ton di manufatti in cemento-amianto, con un’area di stoccaggio di pallet di cemento-amianto, un nastro per il trasporto  dei manufatti sino al trituratore, 4 depositi per i materiali triturati,  7 silos per il deposito del siero di latte esausto, 4 reattori idrotermali, 4 decantatori, un serbatoio di stoccaggio. Il provvedimento ha previsto che debbano essere condotti degli studi sugli impatti prevedibili: entità, complessità, probabilità, durata e frequenza, quindi reversibilità.

Tra le raccomandazioni vi è anche quella di effettuare specifici approfondimenti su tutti gli impianti che riguardano il trattamento dell’amianto, in particolare l’aspetto dell’isolamento con l’ambiente esterno in tutte le fasi di lavorazione. Quindi una particolare attenzione, tra le altre, anche agli impatti cumulativi sull’area interessata derivanti da altri eventuali progetti approvati o in fase di realizzazione.

Quello che possiamo osservare è che di mesotelioma e di altri tumori collegati all’esposizione all’amianto si continua a morire, le bonifiche vanno incentivate e contemporaneamente anche i processi di inertizzazione per scongiurare i timori diffusi e gli esiti nefasti.

*https://www.cnr.it/sites/default/files/public/media/rassegna_stampa/AgoraMagazine_Amianto_tra_censimenti_leggi_da_fare_e_impianti_i_casi_in_Puglia_06-04-2017.pdf

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