Intervento Davide Sperti, segretario generale Uilm Taranto, in audizione al Senato su ex Ilva – Acciaierie d’Italia in a.s.
Tra i contenuti del decreto, ritengo positivo l’allineamento gestionale e temporale tra le due amministrazioni straordinarie, tra le società proprietarie degli impianti ex Ilva e l’affittuario.
È un po’ un unicum nei procedimenti giudiziari italiani
Tra l’altro, ciò che lega le due società è un contratto di fitto su cui si è fatto leva affinché Acciaierie d’Italia andasse in amministrazione straordinaria, un contratto di fitto che abbiamo appreso essere stato prorogato ieri, in vista dell’imminente scadenza per il prossimo 31 maggio.
Nel frattempo, è positiva anche la questione legata all’ulteriore stanziamento di 150 milioni di euro in aggiunta alle fonti di finanziamento precedenti; ma è sempre una goccia nell’oceano, purtroppo, rispetto alla necessità di dare una prospettiva a tutti gli impianti, che vuol dire dare una prospettiva a un futuro a migliaia di persone impattate.
Il problema dell’ex Ilva per noi della Uilm Taranto è proprio questo: al di là della fotografia attuale, non si fa mai una discussione d’assieme, non si fa mai una discussione di prospettiva perché non esiste un piano industriale.
Se non c’è un nuovo piano industriale, per noi vale ancora quello presentato nel 2018. È stato condiviso con noi un racconto a Palazzo Chigi a fine aprile, con delle linee guida che servono per avere l’ok da Bruxelles per il prestito ponte da 320 milioni, ma anche quel racconto noi l’abbiamo rispedito al mittente: se è confermata quella traccia, per quanto ci riguarda, rischiamo di arrivare al 2030 senza impianti.
In base all’attuale quadro normativo europeo, il 2030 è l’anno in cui finisce la gratuità di quote di emissione di anidride carbonica.
C’è stato detto a Palazzo Chigi della volontà d’intervenire parzialmente sull’altoforno 1 e 2, distrutti negli anni passati, molto usurati: sono a fine vita e non arriverebbero al 2030. Lo stesso Afo4 che è in marcia arriverebbe a fine ciclo utile al 2030: quindi ci troveremo da un lato senza altoforni alimentati a carbone, dall’altro non avremo nessuna certezza sulla realizzazione e l’avvio dei forni elettrici.
Al di là dei racconti, non abbiamo univocità di norme a livello europeo, poiché noi dobbiamo discutere con l’antitrust. Germania e Francia hanno investito miliardi di euro nella decarbonizzazione dei processi siderurgici.
Nel frattempo, sappiamo anche che l’Europa, per contribuire alla realizzazione di questi impianti, vorrebbe da noi dal 2027 un potere calorifico per alimentare questi impianti al 40% fornito da idrogeno e il resto da gas. Noi non abbiamo né gas e né tantomeno idrogeno verde al momento.
Sappiamo inoltre che c’è stato l’alt del Tar di Lecce anche a Dri d’Italia per il bando di gara pubblico per la realizzazione dell’impianto di preridotto, che è tutto da rifare perché Danieli ha vinto ricorso.
Nel frattempo passa il tempo e noi rischiamo di arrivare a quel termine semplicemente senza impianti, replicando esperienze nefaste sul territorio nazionale, per esempio, come Piombino.
Il piano di ripartenza che c’è stato rappresentato nella sede di Confindustria, che mira solo al 2024 al raddoppio della produzione, è un piano che rischia di contrapporre lavoratori e territori, perché data la penuria di risorse, inevitabilmente ci sono impianti neanche contemplati nella ripartenza.
Per esempio, a Taranto ci sono gli impianti di laminazione a caldo ma soprattutto gli impianti di laminazione a freddo (quindi treno nastri, treno lamiere, impianti di finitura e i tubifici), che insieme raggruppano più di 1800 lavoratori tra operai e impiegati; per loro, adesso, l’unica certezza è un utilizzo massiccio di cassa integrazione sine die.
Non abbiamo nessuna risposta, inoltre, per i lavoratori rimasti in carico all’amministrazione straordinaria, cioè i lavoratori Ilva in a. s., circa 1500 persone. Per questo motivo, per noi resta valido l’accordo del 6 settembre 2018, che è l’unico accordo sindacale da noi siglato, che ha garantito comunque un indirizzo ambientale, produttivo, occupazionale e quindi risposte a tutti i lavoratori, compresi i lavoratori del sistema degli appalti: un sistema totalmente ridotto sul lastrico per cui, dati i problemi che lamentano le imprese legate ai crediti ante amministrazione straordinaria e i problemi di liquidità (ogni scadenza paga continua ad essere un terno a lotto per i lavoratori).
Abbiamo inoltre perso contezza sulle dieci settimane di cassa in deroga prevista dalla legge 28 del 15 marzo scorso; in assenza di questi strumenti, le aziende che hanno esaurito già strumenti ordinari apriranno procedure di licenziamento, a meno che non facciano parte dei comuni dell’area di crisi complessa.
Le microimprese con meno di 15 dipendenti, infine, non hanno neanche la possibilità della cassa straordinaria e siamo nelle medesime condizioni. Tutto questo non lo possiamo permettere.
Dopo 12 anni di vergogna nazionale, manca solo arrivare a questo ennesimo bluff sulla pelle dei lavoratori. Quindi credo che sia dovere di tutti intervenire tempestivamente.
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