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Stanislaw Witkiewicz – Il pazzo e la monaca (teatro)

L’autore di oggi è Stanisław Witkacy polacco, nato a Varsavia, 24 febbraio 1885 e morto il 18 settembre 1939; drammaturgo, filosofo, scrittore e pittore

Questa opera teatrale è del 1924, siamo nell’Europa che dibatteva, nei salotti della borghesia mitteleuropea degli esperimenti di Freud e Jung, non pare quindi un caso che il sipario si apra su uno ospedale psichiatrico, anzi nella grande cella per schizofrenici del manicomio “ Al leprotto decrepito “ ironica espressione che in polacco vuole alludere ad una situazione miserevole e priva di prospettive.

Se fosse stato figlio d’arte, sarebbe stato solo un pittore e architetto, come il padre, che lo indirizzò nello studio delle belle arti.

Ma la prima guerra mondiale destrutturò ogni destino e Stanisław, al ritorno dal fronte, era passato dallo Zar a Lenin ed era diventato commissario politico.

La biofrafia online di Wikipedia dice che “dotato di grande cultura fu il massimo esponente dell’avanguardia polacca influenzando scrittori della taglia di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz e negli anni 20, dirigeva il teatro a Varsavia e si dedicò alla pittura, dando nel contempo lezioni di letteratura e filosofia.

Morì suicida nel settembre del 1939, poche settimane dopo l’invasione del suo paese da parte dell’esercito tedesco e un giorno dopo l’aggressione stalinista alla Polonia”.

Un autore che, nel periodo fra due guerre, affronta l’irrazionalità e le inquietudini del nostro mondo contemporaneo, che trovavano sfogo, allora come oggi, nel sesso e nella droga, è dunque certamente moderno ed innovatore. Per questo il suo teatro è vivo ed ancora oggi presente nella programmazione teatrale.

E’ il cantore della società massificata e della degradazione dei modelli piccoli borghesi, quelli che ancora oggi fanno sfogo nel mondo dei vip. L’autore incide con caricatura l’orrido di alcune situazioni, una sorta di umorismo amaro.

E’ tipico dei nostri autori polacchi il dibattere su questioni socio-culturali, guardando alla religione, definendola, per sempre tramontata, dentro una cultura contemporanea soffocata dal consumismo oppure al servizio di quest’ultimo, dove l’uomo smarrisce la propria identità, cliente, utente, numero massificato.

Il dramma, che presento oggi, è dentro questo baratro, come nel teatro di Beckett che affrontava l’assurdo dove incalza attimo dopo attimo il momento di andare oltre l’argine, verso il precipizio.

Ecco i personaggi
Mieczyslaw Walpurg è il pazzo, ricoverato nel manicomio. 28 anni, bruno, molto bello e avvenente, barba e baffi in disordine, capelli lunghi. Indossa un abito ospedaliero.- La camicia di forza, Oltre ad essere pazzo, è poeta.

Suor Anna, 22 anni. Una bionda molto chiara e molto bellina e “relativamente” spiritualizzata. Indossa un abito monacale alquanto fantasioso. Sul seno una gran croce pendente da una catena.

Suor Barbara è la madre superiora, stesso abito, sessant’anni. Gran matrona.
Poi abbiamo i medici trentenni, quasi coetani, il dr Jean Burdygiel, tradidionalista, che avvvelena i suoi pazienti inguaribili con cloralio e morfina, mentre il dr Efraim Gruen della scuola di Freud è più portato alla psicoanalisi, il primo con camice bianco e barbetta, il secondo cgherubino brion dal tipo semita, sempre col camice bianco,

Poi c’è il prof. Ernest Walldorf, anziano e gioviale, chioma bianca rasata, occhiali da miopie dorati, indossa un doppio petto.

Due inservienti come bestioni selvaggi e barbuti, uno Alfred con barba nera e calvo, l’altro Pafnuncy, barba rossiccia e capelli, indossano uniformi ospedialiere.

Diciamo che chi ha conosciuto la situazione dei manicomi, riconosca le cure farmacologiche del dottor Burdygiel, conservatore e legato alla convinzione che è il fato a condurre alla fine il malato terminale, che aiutato con i farmaci se non guarisce va accompagnato in questo viaggio; lui si scontra con Gruen che ha un comportamento permissivo, legato alla

psicoanalisi. In questo rapporto, si inserisce quello tra il “pazzo” Walpurg, poeta di successo, e la Suor Anna, che lasciata sola a trovare la motivazione che blocca il malato, quando questi si sveglia e le parla dell’orologio che continua il suo ticchettio nel cervello, si mostra fragile con mille problemi.

Colpi di scena teatrali quando Gruen libera dalla camicia di forza e permettendogli di recuperare la sua vecchia attività di scrittura di poesie; ma è grazie al rapporto – non solo spirituale – di Walpurg con Suor Anna che il comportamento del “pazzo” sembra avere dei miglioramenti incredibili anche agli occhi degli scettici.

Nell’ultimo atto la terapia sortirà l’effetto inatteso di ricondurre tutti alla propria vera e naturale situazione: Walpurg è davvero un suicida-omicida pericoloso (si ucciderà dopo aver trafitto il cranio di Burdygel con una matita), Suor Anna cessarà di essere una suora pudica che – in realtà – non era mai stata, Gruen e Suor Barbara si riveleranno pazzi visionari (assisteranno ad una psichedelica resurrezione di Burdygiel e di Walpurg).

Un teatro che produe anche ilarità e che affascina con la costruzione di una adeguata sceneggiatura, per la quale lo stesso scrittore indica tutto, persino le luci.

Il teatro formale legato all’espressionismo emerge in tutta la sua grandezza in questo autore che ci lascia una bella eredità di opere e drammi per la delizia delle compagnie.

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