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Henrik Ibsen – Casa di Bambola (Teatro)

Dramma in 3 atti

Il nostro autore è intimamente legato alla nostra formazione culturale, oltre ad essere considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver portato nel teatro la dimensione più intima della borghesia ottocentesca, che susciterà l’interesse di Gramsci, dal momento che ne mette a nudo le contraddizioni, salta poi nella modernità dell’approccio culturale più esteso per la denuncia del profondo maschilismo di quella società: difatti il dramma di oggi è considerato, a torto o a ragione, un manifesto per il movimento femminista.


Henrik Ibsen, norvegese, nasce il 1828 e muore il 1906.

Una vita come al solito movimentata. Dopo che il padre, commerciante di legname, perde il lavoro, il ragazzo abbandona gli studi e cominciò a lavorare come garzone in una farmacia.

Da qui nasce la voglia di studiare medicina, studio che alternò al lavoro come assistente in un teatro. Fu proprio il palcoscenico ad assorbire totalmente i suoi interessi.

Nel 1851 diventò direttore del Norske Theater di Bergen, dove aveva lavorato come maestro di scena. E passò da teatro a teatro sempre come direttore.

E qui nascono i suoi capolavori

Dal 1870 in poi è la sua permanenza in Itala e ad Ischia, qui produce i cosiddeti testi romantici, tra i quali, proprio scritto a Sorrento, è il “Peer Gynt” (1867), opera surreale, resa famosa dalla musica di Edvard Grieg, di cui parleremo in seguito.

Questa la trama del nostro libro di oggi.

E’ la sera di Natale in una casa borghese, Nora giovane, madre e moglie felice di Helmer, avvocato rispettabile.

Decorano amabilmente l’abete natalizio.

Il clima festoso e familiare viene turbato dall’arrivo improvviso e inatteso di una vecchia amica d’infanzia di Nora, Kristine Linde.

Questo arrivo riapre una ferita del passato. Una sorta di turbamento che l’autore è bravo nel centilenare allo scopo di fare entrare lo spettatore o lettore nella vicenda.

Questa amica del passato riporta al presente una verità che Nora aveva volutamente tenuto nascosta.

Quando un tempo Helmer era stato seriamente malato fu necessario portarlo in Italia per avere cure adeguate.

All’insaputa del marito, Nora si affidò ad un usuraio, tale Krogstad, anche lui avvocato, prendendo in prestito del denaro e compiendo un falso.

Ora l’amica riferisce che questo usuraio pretende favori impossibili da Helmer, che ora dirige una banca e, tramite l’amica stessa, minaccia Nora di intercedere altrimenti la verità salta fuori.

Siamo a teatro e l’autore, attraverso una sorta di giravolta degli eventi, fa stringere tutto in modo che la verità si avvina ad Helmer, un rigido burocrate sempre attento alla forma.

E qui scatta il dramma individuale di Nora, che pure avendo sbagliato, l’ha fatto per amore, – ha salvato la vita al marito – celandogli la verità ed è consapevole di essere perdonabile.

Pur tuttavia gli eventi precipitano: Krogstad scopre l’amore di Kristine Linde, che credeva definitivamente perso ed è ben disposto a dimenticare il gesto di Nora.

Ma Helmer ha avuto il tempo di essere messo al corrente. Una litigio terribile scoppia tra i due coniugi, nel corso del quale Helmer ripudia in qualche modo Nora.

Qui scatta il dramma borghese, il danno alla reputazione. Quando però Helmer analizza il fatto ed è disposto a perdonare Nora, la donna è stata definitivamente e irrimediabilmente colpita nel nucleo più profondo del suo essere, ha scoperto che l’amore senza misura che portava al marito non ha resistito alla schiacciante pressione delle convenzioni borghesi.

Abbandona dunque bambini e focolare e va via, decisa ad assumere, sola, la propria condizione di donna.

Ecco cosa scrive parlando di quest’opera un grande critico

“La donna dei nostri paesi, la donna che ha una storia, la donna della famiglia borghese, rimane come prima la schiava, senza profondità di vita morale, senza bisogni spirituali, sottomessa anche quando sembra ribelle, più schiava ancora quando ritrova l’unica libertà che le è consentita, la libertà della galanteria.

Rimane la femmina che nutre di sé i piccoli nati, la bambola più cara quanto è più stupida, più diletta ed esaltata quanto più rinunzia a se stessa, ai doveri che dovrebbe avere verso se stessa, per dedicarsi agli altri, siano questi altri i suoi familiari, siano gli infermi i detriti d’umanità che la beneficenza raccoglie e soccorre maternamente. L’ipocrisia del sacrifizio benefico è un’altra delle apparenze di questa inferiorità interiore del nostro costume (Antonio Gramsci)

La Rete

Qui avete due versioni complete della commedia.

con Lilla Brignone (1913 – 1984) e Ivo Garrani (1924)

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con Giulia Lazzarini (1934) e Renato De Carmine (1923-2010)

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Una compagnia locale

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