Ovvero «I segreti del processo Monti e Tognetti»
Gigi Proietti rifece per la tv, “l’ultimo Papa Re” un film curatissimo, con un grande cast da Lino Toffolo a Sandra Ceccarelli e le musiche di Nicola Piovani”. Essendo a puntate, il film tv dura il doppio dell’altro film di cinquant’anni prima: “Nel nome del Papa re” di Luigi Magni.
Il titolo del film del 1970 si ispira ad un libro di cento anni prima, scritto nel 1869, due anni dopo una condanna a morte, decretata dall’autorità papale il 22 ottobre 1867.
Gaetano Sanvittore ne è l’autore, ma di lui non si trovano notizie, la pagina di wikipedia è vuota, tutti i blog riportano solo la data di pubblicazione del libro nessun riferimento biografico.
Anche la Treccani non lo rileva. Immagino che con la trasposizione cinematografica de “il Nome del Papa Re” la sceneggiatura ha surclassato il racconto mettendo in ombra l’autore nel corso di un secolo.
Oppure è scritto da un patriota sull’onda del risentimento popolare per l’uccisione dei compagni d’arme.
Tuttavia il libro: “I segreti del processo Monti e Tognetti” si trova tranquillamente in rete (giù il collegamento) e come si può leggere, fin dalle prime battute, si mostra quale rilettura in chiave anticlericale dell’ultima condanna a morte decretata a Roma, prima dell’arrivo dei garibaldini.
Ecco la vicenda. Siamo nella parte finale del risorgimento, gli ultimi patrioti e rivoluzionari italiani. Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti sono due, diremmo oggi, edili, l’uno maestro e il secondo apprendista.
Soldati della terza guerra d’indipendenza e in tale ruolo il loro gesto, oggi etichettatile come terrorismo, per i popolo di allora fu un atto eroico pagato con la vita.
Fatto: i due, il 22 ottobre 1867, fecero esplodere due barili di polvere provocando il crollo parziale della caserma Serristori di Roma, nella città ancora sotto il potere temporale della Chiesa. Perirono venticinque zuavi pontifici, quasi tutti italiani e francesi e due civili romani.
Scoperti, furono catturati due giorni dopo, condannati alla pena capitale e decapitati un mese dopo, il 24 novembre. mediante ghigliottina, in via dei Cerchi, nei pressi del Circo Massimo.
L’atteso arrivo di Garibaldi non ci fu,anzi, il giorno dopo l’attentato, il 23 ottobre, un gruppo di volontari garibaldini, tra i quali Giovanni ed Enrico Cairoli, fu sopraffatto dalle truppe pontificie a Villa Glori e, poco dopo, il 3 novembre, lo stesso Garibaldi fu sconfitto definitivamente a Mentana.
In effetti a guardare le date, esattamente l’anno dopo ci fu la breccia di Porta Pia, ma furono i bersaglieri del Regno d’Italia che mettevano fine all’occupazione di Roma da parte del papato ed era la premessa dell’unità nazionale, ma questa è una altra storia. Anzi è la Storia!
Il libro di Savittore descrive l’ambiente in cui si svolge questa piccola tragedia risorgimentale, ironizzando su com’era ridotta la Chiesa con i preti di vettura, che si spartivano le esequie funebri, come oggi talvolta la malavita si spartisce il business del caro estinto; una dimensione sociale degradata, all’interno della quale pesca scene e soggetto il film “In nome del Papa Re” diretto da Luigi Magni.
È il secondo della trilogia iniziata con “Nell’anno del Signore” (1969) e proseguita con “In nome del popolo sovrano” (1990); film nei quali ricorre il tema del rapporto tra il popolo e l’aristocrazia romana con il potere pontificio, tra gli sconvolgimenti accaduti nel periodo risorgimentale.
Nel film in questione il protagonista è Nino Manfredi
Il personaggio. Il Papa Re, con Gigi Proietti, è un monsignore, giudice del tribunale pontificio, in crisi di coscienza sia religiosa, ma soprattutto etico-morale.
La storia bizzarra mette a nudo l’ipocrisia del tempo, gli ultimi spasmi di un eccessivo potere temporale che creava varie correnti nella Chiesa Cattolica Romana del tempo.
In attesa dei Savoia e dell’ultima sconfitta di Mentana, con Garibaldi le cui vicende sono schernite con grande discredito, rispetto alla creazione dell’Italia, più che altro frutto della faciloneria dei tempi e del “popolo coglione e analfabeta”.
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