Cesare Beccaria è una figura prestigiosa dell’illuminismo che, per convinzioni filosofiche, giuridiche e religiose, opponeva un rifiuto netto alla pena di morte.
Molti pacifisti si rifanno a questo pensatore del 700 (1738-1794) e per questo suo trattato – di facile lettura – che presentiamo oggi.
La sua biografia essenziale mostra il suo avvicinamento all’Illuminismo dopo la lettura delle “Lettere persiane” di Montesquieu, in tale veste fece parte del cenacolo dei fratelli Pietro e Alessandro Verri, collaborò alla rivista Il Caffè e contribuì a creare l’Accademia dei Pugni nel 1761, fondata secondo un suo concetto della educazione dei giovani mirante a rispettare i suoi concetti di legalità. Cesare Beccaria pensava che l’uomo acculturato fosse meno incline a commettere delitti.
Quello della giustizia è un tema molto avvertito nel nostro Paese, è sicuramente forte il richiamo al rapporto tra delitto e pena che sia, il più possibile, congruo, mentre la cronaca mostra spesso clamorosi e presunti errori, con grande rammarico delle vittime, oppure un esagerato ricorso alla carcerazione preventiva.
Proprio il tema dei carcerati impose al nostro studioso la voglia di scrivere un libro che spingesse a una riforma in favore dell’umanità più sofferente. 233
Il libro di oggi “Dei delitti e delle pene”, è un breve scritto contro la tortura e la pena di morte; usci inizialmente anonimo.
Thomas Jefferson e i padri fondatori degli Stati Uniti, lo lessero direttamente in italiano, e presero spunto per le nuove leggi americane.
In Francia fu adottato da Voltaire con l’apprezzamento entusiastico dei filosofi dell’Encyclopédie e diventò essenziale per la “dichiarazione dei diritti dell’uomo” nella Rivoluzione Francese.
L’opera fu messa all’Indice dei libri proibiti nel 1766, a causa della distinzione tra peccato e reato.
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