Principale Politica Siamo alla frutta?

Siamo alla frutta?

Montesquieu fu un nobile visionario, innamorato della capacità dei Romani di creare una struttura giuridica per un grande Paese, poi imploso prima ancora di essere aggredito dalle tribù barbare; visse per un certo periodo a Parigi e poi intraprese un lungo viaggio attraverso l’Europa (Inghilterra, Austria, Italia).

Nel 1731, tornato in Francia, si stabilì a La Brède, dove scrisse le sue due opere principali. La prima, Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e della loro decadenza, fu pubblicata nel 1734. Sette edizioni più tardi, nel 1748, pubblicò Lo spirito delle leggi, che ebbe un successo strepitoso, superando le venti edizioni in due anni. L’opera segna la nascita della sociologia politica, con la ricerca dei fondamenti delle forme di governo – Montesquieu ne distingue tre: quella monarchica, basata sull’onore; quella repubblicana, basata sulla virtù; e quella dispotica, basata sulla paura – le quali dipendono, a suo avviso, da fattori quali le tradizioni culturali, l’economia, la geografia e il clima.

Dopo aver analizzato queste tre principali forme di governo (monarchia, repubblica e dispotismo), Montesquieu conclude in Lo spirito delle leggi che la separazione dei poteri è imprescindibile per garantire sia l’equilibrio tra di essi sia i diritti e le libertà degli individui. Per questo è conosciuto come “il padre della separazione dei poteri”. Montesquieu considerava il modello ideale quello della monarchia parlamentare inglese, in cui esistono poteri che limitano la volontà del principe. C’è qui un’eco del governo della Roma repubblicana, «ammirevole, perché fin dalla sua nascita, sia per lo spirito del popolo, sia per la forza del senato, sia per l’autorità di alcuni magistrati, era costituito in modo che ogni abuso di potere potesse essere corretto» (Considerazioni, capitolo VIII). (Storica – National Geographic)

Quindi la proporzione dell’esercizio del potere stesso come democrazia è data dalla proporzione fra i tre poteri: 1) il Potere esecutivo, quello del Governo, del Presidente del Consiglio, del Primo Ministro, insomma la trasformazione dell’idea politica nell’amministrazione della Cosa Pubblica. 2) Il potere Legislativo affidato al collegio dei saggi, (il Senatus romano), il parlamento dove siedono i rappresentanti del Popolo per legiferare, cioè creare degli indirizzi legislativi che diventano regole per tutti. 3) il Potere giudiziario, quello che determina se le Leggi sono state attuate e rispettate dal Popolo e nell’interesse del Popolo.

Quest’ultimo Potere, nel corso dei secoli, non è stato sempre separato dal Potere Esecutivo, cui (invece) era legato, ma – anzi – ha “vigilato” affinchè l’altro Potere non fosse messo in discussione: il Re era anche il Giudice Supremo, colui che aveva il diritto di vita e di morte sui sudditi (persino il Papa quando deteneva il potere temporale poteva condannare a morte). Poi vennero i “Tribunali Speciali”, i “Tribunali Politici”, i “Tribunali della Rivoluzione”, tutti bracci armati di un Potere, anche nei regimi di (para) democrazia.

Quando il Potere politico dell’esecutivo è stato messo in discussione dal potere legislativo e dal popolo stesso, allora vi è il momento di passaggio in cui il Potere Giudiziario prende il sopravvento sull’esecutivo e legislativo (in Italia, per le modalità di accesso alla Magistratura), in modo tale che una parte dello Stato è diventata Stato essa stessa, condizionando le scelte politiche ed economiche del Paese. Venuta meno la terzietà del Potere Giudiziario, è lo Stato stesso che viene messo in dubbio, proprio perché tutte le scelte politiche possono essere oggetto di analisi giudiziaria, indipendentemente dalle scelte legislative del Potere meno rappresentativo di sempre.

Nell’assenza di statisti, i politici di piccolo cabotaggio hanno moltiplicato gli scheletri negli armadi, divenendo essi stessi ostaggio del Potere Giudiziario che non esercita più il suo compito di applicazione della Legge, ma – trasformatosi in Stato – crea la Legge (chi non ricorda la norma mai scritta del “concorso esterno”?), decidendo la via politica del Paese e la sua sorte. Qui – tuttavia – non si tratta di capire da che parte sia il Potere Giudiziario, ma se sia giusto così! Riportare l’ordine di montesquiana memoria in una Democrazia matura è interesse di ogni Parte Politica, perché lasciare che vi sia uno Stato nello Stato, significa negare l’esistenza stessa di quello Stato. Senza immorali paragoni sarebbe come accettare il potere della Mafia sullo Stato poiché chi si pone contro lo Stato è naturalmente fuori dallo Stato. Viceversa significherebbe accettare la dittatura!

ROCCO SUMA

foto Wikipedia

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