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Cronaca di un incontro-scontro destinato a far scuola

«Dove passa lui non cresce più l’erba» ma qui la Storia, o meglio il re Attila che con le sue orde di barbari devastava tutto e seminava terrore, non c’entra proprio nulla. Stiamo infatti parlando del nuovo “flagello di Dio” che in branchi sta distruggendo colture, pascoli, creando incidenti stradali e morti, seminando allarme e panico persino nelle grandi città italiane: il cinghiale. Ovvero un animale selvatico dalla forza spaventosa, senza praticamente avversari naturali, e per di più dalla grande intelligenza adattativa che gli permette di integrarsi perfettamente nell’ habitat territoriale in cui si stanzia, creando vere e proprie colonie diversificate da luogo a luogo anche grazie al suo elevato grado di prolificità. Insomma una sorta di topo gigante, ma di superficie, assolutamente dannoso per l’ecosistema di cui non è autoctono e pericoloso anche per gli animali domestici e per le persone.

Quasi in bis in idem per ciò che sta avvenendo con la Xylella (che ci vede purtroppo primi responsabili per il no dei nostri ambientalisti alle misure necessarie a risolvere subito il contagio in Puglia come la scienza imponeva) ancora un problema non affrontato per tempo, e probabilmente per le medesime ragioni ideologiche di prima… eccoci così all’ennesima emergenza ereditata da questo Governo: la presenza in ogni parte d’Italia di branchi sempre più numerosi. poiché siamo di fronte a una popolazione stimata di 1 o 2 milioni di cinghiali e, oltretutto, potenziali diffusori di molte malattie, comprese la brucellosi e la peste suina africana letale per i nostri maiali. Un allarme e una rogna di dimensioni così grandi da dover responsabilmente indurre l’attuale Ministro Francesco Lollobrigida a inserire, nel cosiddetto “Decreto Agricoltura” appena licenziato, norme apposite al fine di uniformare per tutti le azioni di contenimento «per raggiungere l’obiettivo di una riduzione significativa della popolazione dei cinghiali di circa un 70, 80 %» e persino predisporre squadre specializzate di “bio regolatori” dell’esercito per un eventuale impiego nei casi più problematici. E dunque non solo un intervento provvisorio o di facciata di quelli cui ci ha abituato la politica da anni, bensì – e finalmente aggiungiamo noi – l’intervento legislativo necessario che ci voleva, visto che né i governi nazionali precedenti, né tantomeno quelli regionali, hanno fatto nulla di concreto per prevenire o affrontare questo problema. per quello è che realmente è, ora, sotto tutti i profili.

Un cambio di passo, dunque, perché se siamo arrivati alla situazione di fatto a cui si sta ponendo rimedio, è anche per un forse troppo rispetto per leggi e leggine di ispirazione politically correct ed eco green che, ben lontane dalla realtà, hanno finito per creare una quasi paralisi sia della politica, che degli amministratori, per la paura ormai diffusa di una possibile gogna mediatica – e ciò che ne deriva – toccando certi argomenti molto facili da strumentalizzare dall’avversario di turno. Ora aggiungiamoci pure il fenomeno ricorrente e abusato dello scaricabarile tra i vari Enti e Ministeri che, sotto la definizione onnicomprensiva e generica di “burocrazia”, offre a ciascuno un comodo alibi per un rimando alle calende greche di problemi scomodi, ed eccoci all’ attuale “medico pietoso che ha fatto la piaga verminosa” di cui ci occupiamo anche perché la piaga c’è tutta, ma non certo di vermi si tratta, bensì di cinghiali…e in sovra eccesso, per inciso, pure per la ingiustificabile criminalizzazione generalizzata della caccia: lo strumento che invece ha funzionato da sempre, e dappertutto, come un efficace regolatore della popolazione della sus scrofa (il nome scientifico) che non solo si teneva molto ben nascosta nei boschi e nelle macchie, ma produceva addirittura reddito con la vendita delle sue carni ricercate.

Una lunga premessa per spiegare innanzitutto il problema in generale, e poi pure il perché abbiamo ritenuto a dir poco imperdibile l’evento di questo 29 u.s. dal titolo “La gestione del cinghiale del Parco Nazionale dell’Alta Murgia – stato dell’arte e prospettive future”  promosso dall’Ente  Parco in collaborazione con il Comune di Minervino Murge. E dunque non potevamo non esserci soprattutto dopo aver visto gli inquietanti servizi della principale emittente del Sud, che non solo mostravano immagini inequivocabili dei danni alle colture e agli allevamenti, ma hanno anche raccolto testimonianze dirette sulla crescente aggressività dei branchi dei cinghiali a cui, paradossalmente, si è pure aggiunto il problema dei lupi che, accorsi in gran numero dalla Basilicata per far bottino di cinghiali, sono poi diventati un pauroso incubo in più per tanti rinomati allevamenti locali e le tante attività collegate. E non stiamo parlando di qualche piccola realtà isolata, ma di esercizi e aziende di un’intera filiera, e di qualità certificata, di quasi tutta la Murgia pugliese, considerando che il Parco ha una superficie di oltre 68 mila ettari e che comprende ben 13 Comuni e i loro territori. E non a caso tutto ciò, poiché un Parco concepito anche per attrarre grande turismo grazie ai suoi siti unici e persino millenari (basti per tutti citare i celeberrimi “Uomo di Altamura” o “Castel del Monte”…) e con l’opzione, ovvia,  di offrire escursioni libere e di ogni tipo, vista la natura irripetibile dei luoghi e ancora parzialmente intatta nonostante l’evidente contraddizione di ineffabili pale eoliche sorte qua e là ma che, per fortuna, qualche spazio incontaminato anche per l’avifauna migratoria, altra grande attrazione che rende straordinari questi posti, almeno finora l’hanno lasciato.

Quanto basta a spiegare, andando alla cronaca, il perché dei toni accesi –  nonostante la mediazione autorevole della sindaca  Maria Laura Mancini – tra gli esasperati allevatori e i titolari di aziende agricole, in cerca di risposte soprattutto dai responsabili dell’Ente Parco, e lì rappresentato  dal Presidente Francesco Tarantini , il biologo e consulente Lorenzo Gaudiano e il tecnico Luigi Bombino: la sala consiliare piena, pressoché unanimi le lamentele circa la inadeguatezza  delle misure adottate per affrontare le criticità già da molto tempo addietro palesate, ma ora divenute insostenibili. E comunque poco convincenti per il pubblico presente gli argomenti addotti e nonostante le prove presentate a sostegno del loro impegno, ma – sintetizzando – «non approdato ai risultati sperati un po’ per la farraginosità e i limiti della burocrazia e un po’ per il lungo stop dovuto al covid».

Persino qualche appunto tecnico sollevato dall’Assessore Massimiliano Bevilacqua, forte anche della sua competenza professionale in economia del turismo, che ha in definitiva lamentato una non certo compiuta sinergia tra Ente e Comune, e pure assenza di sufficienti occasioni di confronto in cui affrontare come dovuto, ad esempio, il tema dei vincoli dei proprietari di terreni facenti parte del perimetro del Parco, soprattutto in previsione di poter divenire un Geo Park certificato dall’Unesco.

Insomma le critiche non sono certo mancate, e si sono soprattutto acuite a seguito del report circa l’attività di contenimento attuata dall’Ente e le non poche perplessità registrate circa le soluzioni adottate «palliative e costose» per una spinta umanizzazione del trattamento riservato a questi animali che forse sarebbe più corretto considerare bestie selvatiche: gabbie per cattura non dannose per la loro incolumità prima di un abbattimento nell’ acquistato mattatoio mobilie “ad hoc”,,, ma a fronte di risultati come la cattura in un anno di 125 esemplari per una spesa di 30 mila euro (e cioè un costo a capo di 240 euro, praticamente più o meno quanto varrebbe se venduto sul mercato all’ingrosso della carne). Quanto è bastato a causare una replica a gran voce del dr. Giovanni Ferrara, (funzionario tecnico dell’A.T.C. – Bari) che si è chiesto cosa si aspetti ancora a emanare un qualunque provvedimento, anche d’urgenza, « per poter permettere un intervento suo e di un’intera squadra di “bio regolatori”, già pronti da subito, e senza praticamente oneri di alcun genere per la collettività».

Basta con traccheggiamenti e riflessioni «il tempo delle parole è finito» e bisogna davvero passare all’azione per restituire a questo territorio sicurezza, serenità ad allevatori e aziende ma anche a chi persino in automobile ha paura di brutti incontri o avventure come quella raccontata dall’ex sindaco di Poggio Orsini, il dr. Michele Armienti e uno dei salvatori del misconosciuto ma straordinario sito di “Grottelline”. Per ora da Minervino, “sciesciola” dalle mille scale, città del “Faro di Terra più bello del Mondo” e “Balcone delle Puglie” da cui il volto sorridente di Lina Wertmuller è visibile per miglia dalla incollata Lucania delle sue origini e del cuore, è tutto. La parola alla Politica adesso.

 

Enrico Tedeschi

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