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Omnium iudicio

Quando chi Vi scrive frequentava la scuola superiore, gli indirizzi scolastici erano abbastanza chiari: da una parte vi erano i Licei (Classico e Scientifico, un po’ più in la il Linguistico) e dall’altra gli Istituti Tecnici degradanti sino ai Professionali; certo molto dipendeva dai Professori, poi, nella qualità della preparazione; tuttavia non vi erano possibilità di confusione fra chi ambiva a proseguire gli studi e chi no.

Il politicamente corretto non era una opzione ricevibile. Il tempo cambia uomini e cose, società e persone ed oggi quella distinzione appare grandemente sbiadita.

Eppure, ciò che si era studiato rimane nel DNA: il fascino delle tragedie greche si mantiene inalterato attraverso i secoli perché consente a ciascun lettore o spettatore di esplorare, ad ogni singola rappresentazione o lettura, significati sconosciuti e nuovi.

La tragedia, del resto, è uno specchio che riflette l’uomo, nel suo essere – come diceva Aristotele – animale sociale; ogni diversa umanità, ogni diversa società trova in essa rappresentati, se ha la volontà di fermarsi a guardare con occhio critico, le sue vicende, le sue pecche e le conseguenze degli errori che commette. Aristotele, nella Poetica, scrive che la tragedia “mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni”. La tragedia indica quindi un percorso di catarsi, intesa non in senso mistico, ma come razionalizzazione delle passioni: questo è il grande passo compiuto dalla civiltà greca, che tramite le sue produzioni intellettuali, la poesia, il teatro, la filosofia, la legislazione e l’istituzione dei tribunali, costruisce l’uomo moderno, razionale, che pone sé stesso quale misura di tutte le cose.

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Nell’Edipo re di Sofocle assistiamo alla rappresentazione drammatica delle vicende di una famiglia, anzi di due famiglie – perché Edipo ha una famiglia biologica da lui sconosciuta ed una famiglia legale che occulta le sue vere origini – ove si producono veleni che, generati nel microcosmo familiare, inquinano per osmosi anche la società. Una drammatica e potente rappresentazione di una storia oscura e violenta, che travolge Edipo, eroe dell’intelligenza piuttosto che della forza, ma eroe solo, che aspira ad agire razionalmente in un contesto familiare e sociale che si muove invece su linee irrazionali, scatenando una  tempesta di eventi ingovernabili. Nella tragedia sono rappresentate relazioni familiari disfunzionali, avvelenate da due tossine che ancora oggi interessano le famiglie contemporanee: la violenza e la menzogna. Dalla famiglia queste tossicità si estendono alla società, che nella tragedia è afflitta  dalla peste a causa di un evento, l’omicidio di Laio re di Tebe prima di Edipo, il cui autore è rimasto per lungo tempo sconosciuto; evento che tuttavia non è altro che un singolo anello di una lunga catena di violenze familiari, ritenute lecite, anzi giustificate. (Edipo, la giustizia e le relazioni familiari di Rita Russo)

La tragedia greca è, quindi, una delle possibili chiavi di lettura degli accadimenti sociali e familiari di ognuno di noi, è la soluzione che manca ai quesiti senza risposta che la vita ci pone, è (o potrebbe essere) l’elemento mancante del puzzle che componiamo quotidianamente sino alla fine dei nostri giorni.

Celiando (ma non troppo) ho rappresentato sui social la letalità dei rapporti infrafamiliari e le ingerenze che i familiari esercitano sui rapporti di coppia (ma, ciò potrebbe valere anche nei rapporti amicali, sportivi o sociali) e come persino il Testo fra i più antichi conosciuti ritenga di intervenire  “…l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie…”  (Genesi 2,24-25)  Stupisce che in un testo così antico ci sia già chiara la percezione che l’esperienza del rapporto di coppia si fonda su questi due movimenti: lasciare il padre e la madre – diventare una sola carne. E non sono due movimenti uno dopo l’altro, ma uno condizione dell’altro. Perché nasca qualcosa di nuovo, bisogna che qualcosa muoia. I figli hanno da fare un esodo, un’uscita; bisogna venir via da qualcosa per andare verso il nuovo. Un esodo non certo dall’amore per i genitori, ma da quel tipo di affetto e di rapporto.

Dunque, anche in una oscillazione culturale fra secoli diversi ed origini diverse, il rapporto relazionale dell’uomo nella famiglia accetta regole ben precise: i membri della nuova coppia escono dal rapporto simbiotico parentale e, purtuttavia, sono onerati dal rispettare il padre e la madre.

Se Edipo soffre ed agisce nell’ambiguità della famiglia biologica e quella affettiva a livello personalissimo, Prometeo regala agli Uomini il fuoco sottraendolo alla propria famiglia, gli Dei. L’ambivalenza guida il percorso degli Uomini fra ciò che si vuole fare e ciò che va fatto: il delicato rapporto fra il dovere ed il piacere caratterizzava i tempi antichi, mentre una forma di edonismo pervadente ogni aspetto della vita contemporanea ha preso il sopravvento.

Parole come Onore, Oneri, Obblighi saranno presto desuete nei vocabolari e non solo per i Giovani  – che non hanno colpe se hanno avuto Cattivi Maestri (spesso gli stessi genitori)  – ma anche di quelle generazioni post belliche vissute nell’affermazione sociali solo dei Diritti, senza i corrispettivi Doveri.

Famiglie specchio dei tempi e delle società in cui si trovano, spesso luoghi di massacri psichici prima che fisici, famiglie dove si lascia un neonato senza cura per passare il fine settimana con l’amante, dove vi sono violenze ed oscure verità. Famiglie impoverite economicamente e socialmente da una cultura del tutto ed oggi, alienate ed alienanti.

Famiglie che danno valori, supporto e coraggio, talmente ammirevoli che il premio lo avranno in Terra e non nell’alto dei cieli e saranno le famiglie dei giovani campioni dello Sport, dei talenti della musica o dei nuovi ricercatori.

Ma sono – e saranno – sempre meno, come quegli Amici che si contano sulla punta delle dita di una sola mano.

Rocco Suma

foto facebook

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