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Emilio Salgari – Le novelle marinaresche di mastro Catrame

In questo scorcio d’estate, per una migliore attenzione al libro e per invogliare alla lettura, proponiamo una parte iniziale del romanzo.

Cosi si entra nella vicenda, si coglie lo stile dell’autore, oramai noto e presente nella soffitta dei libri.

Non avete udito mai parlare di mastro Catrame? No? Allora vi dirò quanto so di questo marinaio d’antico stampo, che godette molta popolarità nella nostra marina: ma non troppe cose poiché, quantunque lo abbia veduto coi miei occhi, abbia navigato molto tempo in sua compagnia e vuotato insieme con lui non poche bottiglie di quel vecchio e autentico Cipro che egli amava tanto, non ho mai saputo il suo vero nome, né in quale città o borgata della nostra penisola o delle nostre isole egli fosse nato.

Era, come dissi, un marinaio d’antico stampo, degno di figurare al fianco di quei famosi navigatori normanni che scorrazzarono per  lunghi anni l’Atlantico, avidi di emozioni e di tempeste, che si spinsero dalle gelide coste dei mari del nord fino a quelle miti del mezzogiorno che colonizzarono la nebbiosa Islanda e conquistarono il lontano Labrador, quattro o forse cinquecento anni prima che il nostro grande Colombo mettesse piede sulle ridenti isole del golfo messicano.

Quanti anni aveva mastro Catrame? Nessuno lo sapeva, perché tutti l’avevano conosciuto sempre vecchio. E certo però che molti giovedì dovevano pesare sul suo groppone, giacché egli aveva la barba bianca, capelli radi, il viso rugoso, incartapecorito, cotto e ricotto dal sole dall’aria marina e dalla salsedine.

Ma non era curvo, no, quel vecchio lupo di mare! Procedeva, è vero, di traverso come i gamberi, si dondolava tutto anche quando il vascello era fermo e il mare perfettamente tranquillo come se avesse indosso la tarantola, tanta era in lui l’abitudine de rollio e del beccheggio; ma camminava ritto, e quando passava dinanzi al capitano o agli ufficiali teneva alto il capo come un giovinotto, e di quegli occhietti d’un grigio ferro, che pareva fossero lì lì per chiudersi per sempre, sprizzava un bagliore come di lampo.

Ma che orsaccio era quel mastro Catrame! Ruvido come un guanto di ferro, brutale talvolta, quantunque in fondo non fosse cattivo: poi superstizioso come tutti i vecchi marinai, e credeva ai vascelli fantasmi, alle sirene, agli spiriti marini, ai folletti, ed era avarissimo di parole.

Pareva che faticasse a far udire la sua voce, si spiegava quasi sempre a monosillabi e a cenni, non amava perciò la compagnia e preferiva vivere in fondo…

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