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Giovanni Verga – Storia di una capinera

Continuiamo con il nostro verista siciliano con questo romanzo che ha per protagonista, Maria, entrata in convento a soli sette anni, in seguito alla morte della madre; una novizia destinata per volontà della famiglia ad una vita monacale.

E’ un romanzo epistolare e la vicenda viene narrata attraverso le lettere che Maria scrive a Marianna, sua amica e consorella che durante il periodo dell’epidemia si trasferisce anch’ella presso la famiglia.

Come abbiamo già detto, per questa estate per rendere più appetibile la lettura, inseriamo le introduzioni.

In questo caso siamo fortunati perché è lo stesso autore che nella prima pagina spiega il perché della scelta del titolo.

” Avevo visto una capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell’azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime.

Ma non osava ribellarsi, non osava tentare il rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera.

Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili.

La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle.

Dopo due giorni chinò la testa sotto l’ala e l’indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.

Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c’era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.

Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un’infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l’amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la
testolina sotto l’ala ed era morta. Ecco perché l’ho intitolata: Storia di una capinera”

Ecco il libro 

La rete

Si può impazzire d’amore? Tratto da “Storia di una capinera” di Franco Zeffirelli , ispirato all’omonimo romanzo di Giovanni Verga, la scena struggente del dolore della protagonista per un amore che non poté avere un lieto fine.

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