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Giorgio Cicogna – I ciechi e le stelle

L’autore di oggi è annoverato tra gli autori di fantascienza, anzi il primo, il pioniere.

Ha un doge di Venezia tra gli antenati, ed è stato un marinaio di tutto rispetto con i 16 anni di lavoro prestato nella Regia Marina Militare. Ma la sua biografia parla anche di un inventore e quindi di un uomo di scienza.

Una doppia vocazione umanistico-scientifica. Del resto non starebbe nella soffitta dei libri per un trattato scientifico per addetti ai lavori.

Secondo Wikipedia ” In qualità di scrittore, le sue opere più importanti sono le raccolte poetiche “Prefazione”, “A poppavia del jack” (1924),“ Canti per i nostri giorni” (1931) e la raccolta di racconti di fantascienza“ I ciechi e le stelle (”1931). Le ultime due opere furono quelle che riscossero il maggior successo di critica.

In qualità di scienziato, Cicogna inventò l’idrofono, uno strumento utile all’individuazione dei sottomarini, e un nuovo segnalatore di rotta nella nebbia per il quale fu premiato dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Morì il 3 agosto 1932 a Torino a causa di un’esplosione verificatasi mentre stava lavorando alla costruzione di un motore a reazione.

Il volume di racconti, ciechi e le stelle (Milano 1931) è il libro di oggi.

Secondo Treccani: “Il motivo conduttore dei racconti è rappresentato dagli esiti imprevedibili e fantastici ai quali conducono premesse ed ipotesi rigidamente scientifiche. l:invenzione letteraria rende possibile l’evento che trascende l’esperienza comune, solamente ipotizzato. per via scientifica”

I protagonisti dei suoi racconti infatti tentano invano di proporre le loro invenzioni all’umanità: l’essere creato da Alvise viene brutalmente calpestato dai bambini, i quali, credendo di uccidere un rospo, annullano il risultato di tanti anni di studio;

l’audace progetto di Matter non riceve un’attuazione pratica, perché gli uomini non aspirano a cambiare i modi della loro esistenza; le geniali intuizioni dello scienziato ne Idue resoconti sono considerate dai colleghi vacue fantasticherie.

La stessa natura inoltre rende vani i tentativi degli uomini per sottrarsi alle sue ferree leggi: i “senza luce” (misera umanità del bellissimo racconto L’Ovigdoi, condannata a vivere nelle immense profondità dell’oceano) tentano con indicibili fatiche l’ascesa verso il cielo e s’illudono di vederlo in “una gran bolla d’acqua costretta dal peso derivantele dalla gran compressione, al fondo della maggior fossa del Pacifico…”;

Cubra, ne La beffa del cielo, costruisce un potente cannocchiale, capace d’ingrandire smisuratamente gli astri, e crede di scorgervi “un astro distante da noi milioni e milioni di anni luce”, mentre non percepisce altro che “l’immagine fantasma” della Terra “qual era miliardi di anni or sono”.

Il pessimismo che caratterizza le pagine de Iciechi e le stelle è tuttavia superato dall’unica certezza consentita agli uomini ed espressa da Matter, nel ritornare al proprio, paziente lavoro:

“… riprendere, nudo e impavido, il cammino e sì un assoluto; l’unico assoluto che possa dissetare gli uomini, l’unico che possa portare, ai lor occhi ciechi, le stelle” (
Treccani)

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