Principale Rubriche Viaggio nella Storia 102 anni dalla Marcia su Roma: retroscena di una presa di potere

102 anni dalla Marcia su Roma: retroscena di una presa di potere

di Martina Paiotta 

Oltre cento anni fa, nel giorno del 28 Ottobre del 1922, migliaia di uomini in camicia nera marciarono su Roma, segnando l’inizio di una delle epoche più conosciute della Storia d’Italia: l’epoca fascista.

Prima di andarne ad elencare le dinamiche, è necessario effettuare un passo indietro. Nel 1919, nel giorno del 23 Marzo, presso la Sala Riunioni del Circolo dell’Alleanza Industriale e Commerciale di Milano, in Piazza San Sepolcro, fu fondato il Movimento politico dei “Fasci Italiani di Combattimento”, e cioè di quello che fu poi il Partito Nazionale Fascista, capeggiati -entrambi  da Benito Mussolini.

Il 1919 fu un anno decisamente cruciale, il cui contesto promosse e favorì, in modo significativo, il neonato Movimento di Mussolini: tra il 1919 ed il 1920 si ebbe in Italia il c.d. “biennio rosso”, un periodo caratterizzato da una serie di rivolte e proteste operaie in nome del Comunismo, che culminò con l’occupazione delle fabbriche, allo scopo di ottenere condizioni lavorative migliori e salari più adeguati, arrivando a coinvolgere quasi due milioni di lavoratori e oltre duemila fabbriche.

Il Fascismo, di conseguenza, si presentò quale valida alternativa per porre fine al sempre più crescente caos. Tuttavia, questo non fu certo l’unico e il solo fattore.

Altri fattori contribuirono, infatti, sensibilmente all’ascesa del Fascismo: l’esito ed il malcontento della Prima Guerra Mondiale, l’Irredentismo e la crisi post-bellica furono soltanto alcune delle cause più note.

Non è da omettere, inoltre, che il popolo italiano vedeva nella figura di Mussolini l’“uomo forte e carismatico” che avrebbe potuto risollevare l’Italia dal baratro e dall’incertezza -economica e politica- in cui l’Italia versava: lo Stato Liberale si stava infatti rivelando incapace di gestire adeguatamente la situazione sociale ed economica post-bellica, nonché incapace di fronteggiare adeguatamente l’ennesima sfida: quella postagli dal Fascismo.

Nei primi anni ‘20, lo squadrismo fascista si era esteso a macchia d’olio sia a Nord che a Sud dell’Italia e Mussolini era un personaggio già ormai popolare, celebre per le sue capacità oratorie. In aggiunta, il fatto che Mussolini fosse stato un giornalista, e addirittura direttore di un Giornale, lo aiutò a sviluppare un’adeguata rete di contatti politici, ma anche militari e paramilitari, che gli tornarono, come si vedrà, molto utili.

Si parlava infatti già di quasi quarantamila fascisti che, organizzati e sotto il diretto comando di Mussolini, marciavano per le strade d’Italia con meta Roma.

Mussolini, consapevole ormai di godere di un cospicuo consenso popolare, era sempre più deciso -insieme ai suoi sostenitori della prima ora- a prendere il potere, “liquidando” innanzitutto, dal proprio ruolo, l’allora Capo del Governo Luigi Facta ed esercitando in qualche modo pressione sul Re Vittorio Emanuele affinché gli desse l’incarico di formare un nuovo Governo.

Durante la metà dell’Ottobre del 1922, Mussolini e gli squadristi progettarono i dettagli che avrebbero dovuto agevolare la Marcia, capeggiata da Italo Balbo, Emilio de Bono, Michele Bianchi e Cesare Maria de Vecchi, nonché le ultime riunioni organizzative, esponenti fascisti “della prima ora” che avrebbero dovuto indurre Re Vittorio Emanuele a consegnare il Governo nelle mani di Mussolini.

Sebbene il 28 ottobre fu un giorno cruciale per lo “stato d’assedio”, nonostante il relativo decreto fosse stato rigettato dal Re, Mussolini non era partito e anzi era rimasto a Milano, presso la sede del quotidiano da lui fondato: “Il Popolo d’Italia”. Aveva difatti preferito optare per un atteggiamento più prudente, non convinto fino in fondo dell’esito positivo dell’insurrezione; tuttavia era determinato e risoluto nell’ottenere che i principali dicasteri fossero “fascistizzati”, esercitando, attraverso i suoi rappresentanti -e cioè attraverso i conduttori della Marcia- una certa pressione su Re Vittorio Emanuele. Il Re, invero, diede ad Antonio Salandra, ex Presidente del Consiglio, l’incarico di formare il nuovo Governo ma il tentativo fu vanificato dai fascisti. Lo stesso Re, Vittorio Emanuele, era peraltro assai preoccupato di firmare il decreto per lo stato d’assedio, preoccupazione dovuta al fatto che il regio esercito sarebbe potuto risultare poco efficiente nei confronti delle migliaia di camicie nere che marciavano per  l’Italia seminando disordine e irrequietudine, in veste di organizzazione paramilitare, anche attraverso il possesso di armi illegalmente trattenute.

Soltanto il 29 ottobre, Mussolini in persona, raggiunse Roma per formare il nuovo Governo, incarico che gli fu affidato però il giorno seguente.

Nonostante la Marcia su Roma venne sempre dipinta dal Regime quale “Rivoluzione Fascista”, lo stesso Mussolini affermò che, nei fatti, non era corretto definirla una “rivoluzione a tutti gli effetti” per i seguenti motivi: i Ministeri non furono mutati, così come non fu mutata la posizione del Re, che non venne mai spodestato, né ci fu alcun tentativo di farlo. Al contrario, Mussolini aveva sempre cercato, in qualche modo, i contatti necessari con il Re, affinché quest’ultimo potesse riporre fiducia nel nuovo personaggio politico emergente.

Tale manifestazione ebbe infatti anche carattere di “compromesso”, dal momento che Mussolini, deciso nel prendere il potere, era disposto a raggiungere una serie di accordi col Re, accordi e compromessi che gli avrebbero garantito più agevolmente l’ascesa.

Non è certo un caso che lo stesso Mussolini, fortemente anticlericale, si ritrovò poi -strategicamente- a firmare i Patti Lateranensi per lo stesso motivo: non avere intralci, da parte della Chiesa e dello Stato Vaticano, durante lo svolgimento del proprio incarico.

L’Italia, in preda al “caos fascista”, era ormai un “campo di battaglia”, pertanto il Re, non avendo troppe alternative, si convinse ad assegnare a Mussolini il nuovo incarico per provare a riportare una certa stabilità nel Paese senza creare ulteriori rivolte, consegnandogli la propria fiducia.

Mussolini, però, come si lascia intendere all’inizio, aveva approfittato di un momento di già debolezza dell’Italia: la Prima Guerra Mondiale, la successiva crisi ed il malcontento del popolo avevano giocato notevolmente la loro parte, così come l’avevano giocata le Istituzioni “di vecchio stampo monarchico”, ora incapaci di adeguarsi e fronteggiare i nuovi avvenimenti e l’imminente cambio di scenario.

Il “biennio rosso”, anch’esso accennato all’inizio, fu cruciale per lo svolgimento della Marcia su Roma: borghesi e imprenditori appoggiavano gli squadristi di Mussolini non solo per impedire l’espansione -nonché ascesa- politica del Comunismo, ma anche per fermare e contrastare gli scioperi e le rivolte in giro per l’Italia, da Nord a Sud, fenomeno che rese la Marcia su Roma ancor più dinamica.

Il 16 novembre del 1922, Mussolini fece la sua prima comparsa in Parlamento, pronunciando la celeberrima frase, parte del suo primo discorso: «Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto».

Il dittatore fascista, infatti, non accentrò immediatamente, fin dal suo insediamento, i poteri nelle proprie mani, bensì si servì di un passaggio graduale: non è da omettere il fatto che la Monarchia, infatti, rimase in vigore per tutto il periodo della dittatura fascista. Molti studiosi concordano, a tal proposito, sul fatto che non si trattò di un colpo di Stato nel senso vero e letterale della parola: Mussolini, d’altra parte, si impegnò addirittura a giurare fedeltà alla Monarchia; una mossa senz’altro strategica, ma pur sempre rilevante per l’analisi dell’avvenuto o meno eventuale colpo di Stato.

Nonostante ciò, il regime plasmato da Mussolini era senza dubbio un regime a carattere totalitario, caratterizzato perlopiù da un forte centralismo.

Sul fatto che Mussolini sia stato un dittatore, infatti, non v’è alcun dubbio da nutrire, ma sul fatto che sia stato messo in atto un vero e proprio colpo di Stato se ne può certamente dibattere più a fondo e, spesso, se ne deduce che, nonostante la veemenza nonché la furia seminata dagli squadristi che marciavano su Roma, si parla in realtà di un fenomeno eversivo, mirato all’esercizio di pressione sugli organi istituzionali e governativi -nonché sullo stesso Re- ma non di un vero e proprio “golpe” con scopo di mutamento radicale del regime, regime che ricordiamo, in definitiva, essere stato (ed essere rimasto) sempre di stampo monarchico.

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