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Giovani e Politica: Il Divario di un Disinteresse Profondo

Parlare di giovani e politica è come tentare di far combaciare due pezzi di un puzzle sbagliato. Da un lato, c’è una generazione che sembra guardare alla politica con la stessa passione che riserva a un manuale di istruzioni, dall’altro ci sono istituzioni lontane anni luce dai reali interessi e dai bisogni dei giovani. E il divario è profondo. Ma forse la domanda vera è: i giovani vogliono davvero superare questo divario, oppure si trovano bene nella loro confortante bolla di disinteresse?
Prendiamo un attimo i numeri. Solo il 46% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato alle ultime elezioni. Gli altri, il 54%, erano probabilmente troppo impegnati in ben altre attività: il nuovo trend su TikTok, la scelta del filtro giusto per Instagram, o la serie Netflix da finire. Sembra che il “non voto” sia diventato una nuova forma di protesta, o, peggio ancora, di apatia. Perché il punto è proprio questo: a una fetta sempre più grande di giovani non interessa affatto “sporcarsi le mani” con la politica.
Una volta, il cambiamento si faceva per le strade, tra slogan, manifestazioni e veri sacrifici personali. Oggi, tutto questo sembra storia antica. I giovani preferiscono manifestare senza muoversi dal divano, con un clic, un like o un hashtag. E’ nato così il “clicktivismo”, l’attivismo che si ferma a un gesto superficiale e indolore, che non richiede né tempo né sacrificio. Insomma, un attivismo comodo, un po’ come ordinare cibo d’asporto: basta un attimo e ci si sente parte di qualcosa di grande, senza però muovere un dito. La lotta per il cambiamento sembra essere diventata un fatto puramente estetico, un argomento da dibattere davanti a un caffè o da inserire nel proprio profilo, ma guai a pensare di impegnarsi davvero.
E le istituzioni, di certo, non fanno molto per colmare questa distanza. Forse perché nemmeno sanno come fare, o forse, molto più cinicamente, perché non ne hanno interesse. Qualche iniziativa di facciata, una manciata di discorsi motivazionali durante le elezioni, e tutto resta come prima. Del resto, parlare con i giovani richiederebbe tempo, impegno e la capacità di scendere a un livello di comunicazione più diretto e concreto, tutte qualità che sembrano mancare a gran parte dei nostri politici. Ma il fatto è che, anche se lo facessero, troverebbero un pubblico disposto ad ascoltare? La realtà è che i giovani, spesso, nemmeno tentano di interessarsi. La politica è “troppo complicata”, “troppo corrotta”, e, soprattutto, “troppo noiosa”.
E così il divario tra i giovani e la politica cresce, in un circolo vizioso che alimenta apatia e disillusione. I giovani, di fatto, sono i primi a escludersi dal gioco. Ma è un’esclusione comoda, perché permette di criticare dall’esterno senza mai mettersi in gioco. Il sistema fa schifo, certo, ma chi ha voglia di passare una sera in riunione a discutere di politica locale, quando la pizza e il binge-watching sono opzioni decisamente più allettanti?
Nel frattempo, il mondo va avanti. E mentre i giovani si lasciano scivolare via ogni responsabilità, quelli che si sporcano le mani sono altri, di solito adulti o anziani, spesso con idee e interessi ben distanti da quelli delle nuove generazioni. Questo silenzio, questo disinteresse, fa sì che le decisioni sul futuro dei giovani siano prese da chi non vive le loro stesse sfide. Ma tutto sommato, ai giovani sembra andare bene così. La politica è qualcosa che si guarda da lontano, che si critica e basta, senza mai voler essere davvero parte del processo.
Insomma, sembra proprio che il vero problema non siano solo le istituzioni, ma un’intera generazione che preferisce criticare senza mai scendere nell’arena, guardando tutto dall’alto con un cinismo che fa tanto “sofisticato” e che non porta da nessuna parte. Ma allora, chi è che sta davvero perdendo?
Serena Tortorici
foto www.universita.it/

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