Pochi lo sanno ancora oggi. Se i confini del nostro paese vennero ridisegnati alla fine della seconda guerra mondiale, con il trattato di Parigi del 1947, ma anche attraverso una intensa attività diplomatica da cui fu preceduto, la situazione di Trieste rimarrà sospesa. E troverà una soluzione solo nel 1954
E poi sancita ufficialmente venti anni dopo con il trattato di Osimo fra Italia e Jugoslavia, venti anni dopo.
Alla fine della guerra gli alleati Anglo americani e francesi erano divisi: gli americani con posizioni più favorevoli all’Italia e inglesi e francesi meno favorevoli.
Gli inglesi appoggiavano Tito, che benché comunista aveva avuto un peso consistente nella lotta ai nazisti.
I francesi aspiravano a prendere la valle d’Aosta. Tito aspirava a prendere tutta la Venezia Giulia.
L’Austria forse aspirava a riprendersi l’Alto Adige, ma era occupata e poco poteva.
E così gli americani convinsero i francesi a rinunciare alla Val d’Aosta. De Gasperi convinse gli austriaci a un accordo sull’Alto Adige, che rimaneva italiano.
Su Trieste fu proposto un accordo che prevedeva due zone di occupazione o spartizione: la città di Trieste e pochi comuni limitrofi andavano all’Italia e tutta la provincia di Trieste, l’Istria, andava alla Jugoslavia.
I titini volevano Trieste e Trieste e l’Italia voleva l’Istria, che era stata italofona.
Trieste andò sotto il controllo dei militari neozelandesi e l’Istria sotto l’esercito di Tito. In attesa di un accordo.
Sul piano internazionale Tito assunse un ruolo che piaceva agli inglesi. E quindi continuarono a sostenere che l’Istria doveva rimanere alla Jugoslavia.
Ci furono manifestazioni, scontri, invio di truppe ai confini. Durante le elezioni a Trieste non si votava.
Alla fine nel 1954 si optò per lo status quo. Che fu ratificato da un accordo firmato a Londra.
Nel 1946 Trieste per 42 giorni era stata occupata dai titini. Per evitare che si ripetesse, mentre le truppe neozelandesi lasciavano la città il 26 ottobre durante la mattinata a Trieste confluirono bersaglieri, carabinieri, fanti, aerei che atterrarono nell’aereoporto e quattro navi della marina militare.
E Trieste che era invasa anche da rifugiati – e altri ne arrivarono – festeggiò il ritorno all’Italia. Un festeggiare a metà, perché l’Istria era stata definitivamente persa.
Dopo settanta anni bisogna festeggiare di nuovo?
Per molti si. Ma poi ci sono anche le persone che preferiscono dimenticare in nome di una fragile collaborazione con le popolazioni di confine, fra le due città di Gorizia per esempio.
O ci sono anche le persone che dopo cento anni ricordano con nostalgia l’appartenenza della città all’impero austroungarico.
E così è l’Italia. Unita, ma sempre pronta a dividersi su ogni controversia storica o attuale.
Attilio Runello