Davide Romano
“La democrazia non muore nelle tenebre, muore sotto i riflettori della propria arroganza,” ha detto una volta Henry Kissinger. Parole che oggi risuonano con una chiarezza quasi profetica.
I numeri raccontano una storia che va oltre la semplice politica. Trump ha conquistato il 51,3% del voto popolare contro il 47,2% di Harris, ma è nel voto religioso che si nasconde la chiave di questa vittoria. Come in un moderno risveglio spirituale, le chiese americane hanno parlato con una voce sorprendentemente unitaria.
Nella “Bible Belt”, i protestanti evangelici hanno sostenuto Trump con percentuali schiaccianti: il 78% dei bianchi evangelici ha votato repubblicano, con punte dell’82% negli Stati del Sud. “Non stiamo assistendo solo a un voto politico, ma a una vera e propria affermazione identitaria,” ha osservato Robert Jones, CEO del Public Religion Research Institute.
Ma la vera sorpresa è arrivata dal voto cattolico. Per la prima volta dal 1960, anno dell’elezione di JFK, i cattolici hanno votato in maggioranza (56%) per il candidato repubblicano. “È un terremoto politico,” ha commentato il cardinale Timothy Dolan di New York. “I cattolici non votano più in blocco come una volta, ma sulla base dei valori e dei principi morali.”
L’arcivescovo José Gomez di Los Angeles, presidente della Conferenza Episcopale USA, pur mantenendo la neutralità istituzionale, ha notato: “I cattolici cercano leader che rispettino la libertà religiosa e i valori della vita.” Un chiaro riferimento alle politiche progressiste dei democratici su aborto e gender che hanno alienato molti fedeli.
Particolarmente significativo il dato delle comunità cattoliche ispaniche: il 61% ha votato Trump, un aumento di 15 punti rispetto al 2020. “La sinistra ha dato per scontato il voto latino-cattolico,” spiega Eduardo Verástegui, produttore cinematografico cattolico e attivista. “Ma la nostra fede viene prima della politica.”
Le chiese battiste del Sud hanno registrato tassi di partecipazione al voto superiori al 75%, con l’81% delle preferenze per Trump. I metodisti si sono divisi con il 62% per Trump nelle aree rurali e il 54% per Harris nelle aree urbane. “È la più grande mobilitazione del voto protestante dai tempi della candidatura di Jimmy Carter,” ha commentato Mark Noll, storico del cristianesimo americano.
Il professor Robert George di Princeton, voce autorevole del cattolicesimo conservatore, ha sottolineato: “I democratici hanno perso il voto cattolico quando hanno smesso di parlare di giustizia sociale ed economia per concentrarsi sull’ideologia woke.” Un’analisi confermata dai numeri: nelle tradizionali enclave cattoliche del Midwest, Harris ha perso con margini tra i 8 e i 15 punti.
In Italia, dove il voto cattolico ha storicamente un peso determinante, questi dati dovrebbero far riflettere. Come ha recentemente sottolineato il cardinale Matteo Zuppi: “La Chiesa non dà indicazioni di voto, ma i fedeli sanno riconoscere chi rispetta i loro valori.”
I sondaggi di Gallup mostrano che il 72% degli americani disapprova della gestione dell’immigrazione democratica. Tra i cattolici praticanti, nonostante la tradizionale apertura della Chiesa all’accoglienza, il dato sale al 68%. “È possibile essere pro-immigrazione e anti-caos,” ha commentato Bill Donohue della Catholic League.
Russell Moore, teologo evangelico ed ex critico di Trump, spiega: “Non è stato un voto per Trump, ma contro un’agenda progressista percepita come ostile ai valori religiosi tradizionali.” Un sentimento condiviso da molti cattolici: il 73% dei praticanti settimanali ha votato repubblicano.
La componente protestante afroamericana ha visto l’astensionismo crescere del 15% rispetto al 2020, mentre nelle parrocchie cattoliche afroamericane il voto democratico è sceso dal 94% all’87%. “Un cambiamento epocale,” secondo padre Bryan Massingale, teologo della Fordham University.
Ma Trump non dovrebbe cantare vittoria troppo presto. Come ha ammonito padre James Martin, gesuita e editor di America Magazine: “Il voto cattolico non è un assegno in bianco. I fedeli si aspettano coerenza sui temi della giustizia sociale e della dignità umana.”
Per i cosiddetti Democratici italiani la lezione dovrebbe essere chiara. Come ha osservato Romano Prodi: “Quando la sinistra perde il contatto con il mondo cattolico, perde la sua anima sociale.” Un monito che vale tanto per Washington quanto per Roma.
Come diceva Montanelli: “In politica, il peggior nemico non è mai l’avversario, ma la propria presunzione.” I democratici americani, perdendo il voto dei credenti, hanno perso molto più di un’elezione. Hanno perso la capacità di parlare all’anima profonda dell’America.
“La fede muove le montagne,” diceva Madre Teresa. E questa volta, ha mosso anche la Casa Bianca.