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Nobiltà: identificazione personale o furto araldico-nobiliare?

di Pierfelice Degli Uberti

 Oggi vedo spesso affrontare in modo improprio e confuso una tematica cui mi sono assai dedicato. Quando si parla di nobiltà per identificazione personale bisogna riferirsi unicamente a quanto ho determinato nel 2018 durante una trasmissione televisiva che ha posto un punto fisso su questa definizione risolvendo seriamente molte situazioni ovviamente non legate alla nobiltà storica. Altre determinazioni non sono rilevanti e precise, ma create per illudere le persone facendo credere che l’identificazione possa assumere un carattere nobiliare storico. Il mio studio di questa tematica nasce da un approfondimento di temi già trattati da Carlo Mistruzzi di Frisinga e Claudio Schwarzenberg,

Nobiltà per identificazione personale: un’analisi critica. La nobiltà, intesa storicamente come appartenenza a un’élite sociale e culturale riconosciuta dallo Stato, è oggi un tema dibattuto e spesso frainteso, specialmente quando viene trattato in contesti mediatici lontani dalla rigorosità scientifica. Questo articolo si propone di analizzare la questione della “nobiltà per identificazione personale” prendendo spunto dal dibattito attorno alla figura della “Marchesa d’Aragona” e dalla partecipazione a trasmissioni televisive di intrattenimento. Tengo a precisare che durante il regno d’Italia quando la nobiltà era riconosciuta e tutelata dallo Stato, le persone della nobiltà storica riconosciuta si astenevano dall’utilizzare titoli nobiliari quando vi erano evidenti ragioni legate all’attività che svolgevano: ne sono esempio i Fratelli de Rege , Guido (Bebe) e Giorgio (Ciccio) dei Conti de Rege di Donato e di San Raffaele discendenti dal ramo cadetto di un’antica famiglia del patriziato piemontese che mai si qualificarono con i titoli nobiliari che competevano loro lavorando nel mondo dello spettacolo.

Il contesto mediatico. Nel 2018, il reality show Grande Fratello Vip e le trasmissioni collegate come Domenica Live e Pomeriggio 5 hanno dato risalto alla figura della cosiddetta “Marchesa d’Aragona”, suscitando curiosità e controversie sul concetto di nobiltà. In un Paese come l’Italia, dove i titoli nobiliari non hanno alcuna rilevanza giuridica dal 1948, il dibattito si è rivelato un misto di superficialità e spettacolarizzazione dimostrando una notevole ignoranza sulla realtà storica e giuridica della nobiltà, e trasmettendo informazioni inesatte che hanno alimentato pregiudizi e confusioni. La figura della “Marchesa” è stata analizzata attraverso una lente prettamente mediatica, trasformando una questione di tradizioni e storia familiare in mero gossip.

Lo stemma e le dichiarazioni. Uno dei punti centrali della questione riguarda lo stemma araldico adottato dalla signora Daniela Del Secco. Questo stemma, di pura invenzione, presenta una somiglianza con quello della famiglia Secco d’Aragona, un lignaggio storico presente nel Libro d’oro della nobiltà italiana. Tuttavia, la signora ha dichiarato di non essere esperta in araldica e di essersi affidata a suggerimenti esterni per la creazione di tale stemma. Nel corso del dibattito, la signora Del Secco ha inoltre affermato di essere stata erroneamente convinta della propria nobiltà da consulenti araldici commerciali, i quali le avrebbero fornito documentazione priva di valore scientifico, come pergamene generiche basate su famiglie omonime. Questo tipo di documenti, spesso venduti a basso costo, sono da considerarsi meri complementi decorativi, privi di qualsiasi valore genealogico o araldico.

L’identificazione personale. In quell’occasione introdussi il termine di “identificazione personale” per descrivere la scelta della signora Del Secco di utilizzare il titolo di “Marchesa d’Aragona” come nome d’arte e marchio commerciale. Questo approccio, pur non avendo alcun valore nobiliare, ha permesso alla signora di distinguersi nel mondo dello spettacolo e di promuovere la propria attività di imprenditrice nel settore dei cosmetici. L’identificazione personale, se non lede diritti altrui, e solo in questo caso, è una pratica legale e riconosciuta in ambito commerciale. Del resto esistono espressioni che richiamano un titolo nobiliare senza esserlo: gli enti territoriali degli Stati del Sud degli USA concedono come cittadinanza onoraria il titolo di Duke of Albuquerque, Duke of Paducah, di Duke and Duchess of Hazzard, di Count of Poulanski; e questo accade in una nazione (gli USA) dove è proibita la concessione da parte di autorità degli Stati di titoli nobiliari.

Quindi questi apparenti titoli nobiliari cosa sono? Semplici onori desunti dalla cultura e dalla tradizione europea che vede la nobiltà come parte integrante della sua storia. Ricordo che ci sono persone legate ad aziende che sono un chiaro esempio di utilizzo di un’identificazione personale come Louis-Marc Servien, Comte de Boisdauphin produttore del cognac Comte de Boisdauphin, che pur non avendo il riconoscimento (sebbene privato) della Association d’entraide de la noblesse française (ANF), da tutto il mondo è riconosciuto come il Comte de Boisdauphin, o il jazzista Duke Ellington. Esiste pure il caso di persone dello spettacolo che hanno usato cognomi di famiglie nobili senza appartenervi come ad esempio: l’attrice Èmilienne d’Alençon. In Italia, tuttavia, l’associazione di un titolo nobiliare a un’attività commerciale è vista con sospetto, soprattutto quando viene confusa con la nobiltà storica.

La Nobiltà storica e la tradizione. È importante sottolineare che la nobiltà storica si basa su una tradizione consolidata e su riconoscimenti ufficiali di Stato, oggi non più possibili nella Repubblica Italiana. La nobiltà era un privilegio acquisito per nascita, matrimonio o merito, sempre legato a criteri di moralità e adeguatezza sociale. Documenti ufficiali come il Libro d’oro della nobiltà italiana rappresentano un riferimento fondamentale per distinguere le famiglie nobili autentiche da quelle che rivendicano titoli senza alcuna base storica, e solo quelle famiglie iscritte nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana erano riconosciute come nobili dal regno d’Italia. Oggi organizzazioni private si arrogano il diritto, sostituendosi allo Stato, di riconoscere la nobiltà, violando il Regio Decreto 7 giugno 1943 n. 651 relativo all’Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, pubblicato nel Supplemento Ordinario della Gazzetta Ufficiale del Regno n. 170 del 24 luglio 1943 e precisamente al Capitolo I, Norme Generali, § I.- Della Prerogativa Regia e delle Distinzioni Nobiliari, dove è chiaramente stabilito all’Articolo 1 che queste prerogative spettavano solo al Re.

In un’epoca in cui la nobiltà non è più riconosciuta giuridicamente dallo Stato, sarebbe opportuno valorizzare le “Famiglie Storiche d’Italia”, includendo quelle che hanno contribuito al progresso del Paese, indipendentemente dal possesso di titoli nobiliari.

Furto araldico e furto nobiliare: un approfondimento. L’araldica e la nobiltà sono elementi intrinsecamente legati alla storia e alla cultura europea, rappresentando simboli di identità e prestigio familiare. Tuttavia, l’uso improprio di stemmi e titoli nobiliari – noto rispettivamente come furto araldico e furto nobiliare – è un fenomeno diffuso che solleva questioni culturali, etiche e, in alcuni Paesi, legali. In un contesto moderno, dove la nobiltà in molti Stati non è più riconosciuta, il dibattito su questi temi rimane attuale e complesso.

Furto araldico: la violazione dell’identità storica. Lo stemma araldico, durante il regno d’Italia tutelato dalla legge, ed un tempo conferito ufficialmente a famiglie, enti o persone come segno distintivo unico, è oggi visto da molti come una rappresentazione del lignaggio o come un simbolo di status. Tuttavia, lo stemma non è semplicemente un elemento grafico perché rappresenta l’identità e la storia stessa di chi lo detiene.

Col furto araldico assistiamo all’appropriazione di stemmi esistenti appartenenti ad altri.

Il caso più comune è l’uso non autorizzato dello stemma di una famiglia esistente, dove modifiche superficiali, come l’aggiunta di un elemento grafico (brisure), non eliminano la violazione, che resta un vero e proprio furto di identità. C’è poi il caso dell’uso di stemmi di famiglie estinte, altra pratica controversa con cui uno si appropria di stemmi appartenenti a famiglie storiche estinte. Ed anche qui il semplice brisare lo stemma non giustifica l’uso, poiché viene comunque violata la sua integrità storica. Ci sono poi persone che creano stemmi imitativi, ovvero stemmi “nuovi” ma ispirati fortemente a quelli di famiglie storiche. Sebbene meno evidente, questa pratica può creare comunque confusione e offuscare la distinzione tra famiglie nobili autentiche e altre che non lo sono.

Implicazioni del furto araldico. Lo stemma è un elemento che rappresenta una famiglia o un’entità in modo unico, similmente a un marchio aziendale o al codice fiscale. Usurparlo è equivalente a un furto di identità dove l’identità originaria è danneggiata. Inoltre l’uso improprio di stemmi crea una narrazione distorta, minando la veridicità araldica e genealogica originaria e ingenerando confusione storica. Ma va anche detto che la proliferazione di usi impropri danneggia la percezione dell’araldica come disciplina rigorosa, seria e credibile ponendola in una condizione di scarsa attendibilità scientifica.

Furto nobiliare: l’usurpazione di titoli. Il furto nobiliare si verifica quando un individuo assume o utilizza un titolo nobiliare al quale non ha diritto. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nei contesti moderni, dove i titoli nobiliari non sono più regolamentati o riconosciuti dallo Stato e la mancanza di tutela legale favorisce l’abuso.

Modalità di furto nobiliare. Accade di frequente che individui con cognomi omonimi a quelli di famiglie nobili assumono titoli ad esse collegati, anche senza alcuna prova genealogica (assunzione per mera omonimia). C’è poi la creazione di titoli inesistenti quando alcuni adottano titoli totalmente inventati, che suonano nobiliari ma non hanno alcuna base storica o legale.

Infine c’è il caso anche troppo diffuso dei riconoscimenti fraudolenti, quando accade che istituzioni private o commerciali offrano riconoscimenti araldici e nobiliari senza valore legale in cambio di denaro, alimentando l’uso improprio di tali titoli.

Le conseguenze del furto nobiliare. Come per il furto araldico così pure il furto nobiliare comporta gravi conseguenze. L’uso di titoli falsi mina il valore e la storia delle famiglie nobili autentiche determinando l’erosione della legittimità storica della nobiltà nella società. Se il miraggio dello sfruttamento economico può indurre alcuni ad usare titoli nobiliari falsi per scopi commerciali, traendo vantaggi personali o economici da un prestigio non autentico, il fenomeno implica comunque una ridicolizzazione del concetto di nobiltà perché i titoli nobiliari diventano strumenti di vanità o marketing e perdono il loro significato culturale e storico.

Nobiltà e araldica oggi: il vuoto normativo. Come spesso ripeto in Italia e in molti altri Paesi, la nobiltà oggi non è più riconosciuta dallo Stato e questo vuoto normativo ha creato una situazione ambigua, in cui l’uso degli stemmi e dei titoli nobiliari è regolato solo in parte. Se in Italia gli stemmi sono considerati un’espressione privata e non sono tutelati dalla legge, salvo eccezioni (es. stemmi militari, comunali o accademici) favorendo il fenomeno del furto araldico e nobiliare, all’Estero, in alcuni Paesi, come il Regno Unito, il Belgio, la Moldavia o Malta, si continua a regolamentare l’araldica attraverso autorità ufficiali, come College of Arms o gli Uffici Araldici rendendo così più difficili gli abusi.

Quali soluzioni e prospettive?. Certamente l’educazione e la cultura possono venirci in soccorso, ma è necessario promuovere la conoscenza dell’araldica per far comprendere che gli stemmi non sono meri ornamenti, ma veri e propri  simboli di identità storica e familiare da tutelare. Occorre anche distinguere nobiltà e araldica e chiarire al grande pubblico che uno stemma non equivale a un titolo nobiliare perché la nobiltà si basa su fattori storici e genealogici suffragati da una enorme quantità di documenti autentici. È auspicabile piuttosto la creazione di nuovi stemmi originali, incoraggiando le famiglie moderne a creare stemmi ex-novo, che rappresentino la loro vera identità e la loro storia, e così pure la valorizzazione di una moderna gentry (come quella che esiste nel Regno Unito), promuovendo una “nuova araldica” che valorizzi famiglie non nobili ma comunque distinte per meriti sociali, culturali o economici.

Conclusione. La questione della “Marchesa d’Aragona” è emblematica di come il concetto di nobiltà venga oggi strumentalizzato e frainteso. L’introduzione del termine “identificazione personale” ha permesso di chiarire situazioni ambigue e di sottolineare che l’uso di titoli evocativi, pur legale, non equivale a un vero riconoscimento nobiliare. La nobiltà, come scriveva Dante, non risiede nella stirpe, ma nelle virtù delle persone che rendono onore al proprio lignaggio. È fondamentale proteggere la memoria delle famiglie nobili autentiche, distinguendole dalle mistificazioni che emergono in contesti privi di rigore storico e culturale.

Nel mondo contemporaneo il furto araldico e nobiliare rappresenta una sfida etica e culturale perché se da un lato l’araldica continua a esercitare fascino come elemento distintivo, dall’altro l’uso improprio di stemmi e titoli rischia di sminuirne il grande valore storico. La soluzione sta nel promuovere una cultura del rispetto e dell’autenticità, in cui l’araldica possa continuare a essere un simbolo di identità, senza usurpazioni o mistificazioni.

 

Foto 01 – Duca di Monteaperto per identificazione personale

Foto 02 – Furto araldico

Foto 03 – Principe del SRI per invenzione personale con la Corte

Foto 04 – Falsificazione documentale

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