La parola ha già iniziato il suo viaggio con versi e racconti della settimana.
La nostra rubrica “Versi e Racconti: Echi della Settimana” ha già fatto il suo debutto, portando alla ribalta alcuni talenti letterari. Aspettiamo anche te! Grazie alla collaborazione con l’Associazione Nazionale Italiana nel Mondo, offriamo un palcoscenico privilegiato a chiunque ami scrivere.
Ogni venerdì, nuove voci arricchiscono il panorama letterario con poesie e racconti che emozionano e fanno riflettere.
Sei uno studente, un insegnante, uno scrittore emergente o semplicemente un appassionato di parole? Partecipa anche tu! Invia i tuoi testi a redazione@corrierepl.it.
Vuoi far sentire la tua voce?
La nostra rubrica è aperta a tutti coloro che desiderano condividere la propria creatività e passione per la scrittura. Ogni settimana, selezioneremo i testi più interessanti e originali per metterli in luce nella nostra sezione “Arte, Cultura & Società”.
L’obiettivo? Promuovere la scrittura e dare spazio a nuovi talenti, sia a livello nazionale che internazionale.
Non perdere questa opportunità! Invia i tuoi testi a redazione@corrierepl.it entro il mercoledì di ogni settimana. Insieme, con le nostre parole, possiamo fare la differenza.
Nel numero di questa settimana, abbiamo il piacere di presentare i contributi giunti in redazione:
Poesia:
- Parole al vento
Parole al vento,
perse negli abissi del tempo…
Cosa ti aspetti che sia
veramente una poesia?
Il ritmo di un cuore che batte,
il grido silente di una lacrima cadente,
il sospiro di un’ anima che cerca Dio
oppure il suo io…
I sussurri del vento sono echi del passato
ogni parola una melodia,
ancora un fiato
un soffio d’amore ed è sinfonia…
Si levi dunque il vento
e queste mie parole
si perdano negli abissi dentro il tempo…
Torneranno forse un giorno,
Io spero come brezza
che a me
è sempre sembrata
del mare il respirare…
Bruno Magno
- Solitudine
Lasciatemi qui
silenziosa tra l’erba
Mi nascondera’ alla vista
Il mirto profumato
Tra le sue lucide fronde
riposerò lo sguardo
e tornerò ad allora
Alle ridenti giornate
e al mio sentire,
intenso di futuro e
di passione.
Lasciatemi a quei sogni
ché la vita punge
e di paure e solitudini ferisce
Lasciatemi al prato al cielo al sole che s’affaccia e mi sorride.
Qui tra le foglie d’aria lieve e vento
qui mi disseto e bevo la rugiada del mattino.
Elisabetta Fioritti
- ” Nuovi arrivi”
Si apre il cuore
coglie l’attimo e riparte la vita
Diverse
verità
Cerchi concentrici creano onde
e increspano il mare
Bea travolge
Sconvolge riavvolge il nastro della vita
e fra un balzo e una carezza
riporta luce nel buio dei ricordi.
Non c’è pace nei cuori aridi
Sorriso di arcobaleno
Orlo di felicità nascita di profumi e nuove verità
Cucciolo abbandonato e amore ritrovato
Linfa d’essenza nell’abbraccio del cuore
Nuova vita nel sorriso dell’amore.
Paola Maria Bevilacqua
- Intrecci
Gli occhi chiusi
a ricercar parole
e a mitigar emozioni.
Timido ed espressivo nel linguaggio
ma anche nei gesti.
Amavo le tue mani
segnate dalla malattia,
ne adoravo l’intreccio,
che era presenza, sovente,
mentre dialogavi.
“L’intreccio dei saperi” – dicevi!
L’intreccio degli amori auspicavi!
Nell’intreccio delle vite credevi!
Degli intrecci della vita scrivevi!
Degli intrecci della cultura ti alimentavi!
Dell’intreccio della mente e del cuore parlavi!
“Solo negli intrecci
le nostre anime
si possono elevare” – sostenevi!
(5 settembre 2021).
Roberta Alberti
- “Vite americana”
Rossa. Bella.
Sei sangue che porta vite.
Balli al vento e
intrecci danze
su nudi muri.
La terra è tua.
E luccichi, come chi
non teme il sole.
Aggrappata
esplodi in palmi aperti
a ringraziare il cielo buono.
Sei come me:
cresci dove c’è
spazio per te.
La lunga notte d’ombra,
durata un’estate intera,
è quasi passata.
Quel che vi è di meglio
nel pensiero si aggrappa
come edera forte
su vecchi mattoni eterni.
Evelyn Zappimbulso
Racconti
- Il mio nome è Cohila
Il mio nome è Cohila che vuol dire in silenzio per pene d’amore.
Vengo dall’Africa occidentale, da un paese chiamato Burkina Faso che significa “la dimora degli uomini liberi e indipendenti”, popolo di cacciatori e raccoglitori di bacche.
Un popolo tra i più poveri del mondo ma, ad unirci, erano proprio il disagio, la povertà che ci rendeva uguali ad assaporare i silenzi infiniti della nostra terra, i suoi tramonti, quel cielo abitato dalle stelle e dalla luna che riflettono limpide, pulite, nitide. Un paese dove il sole abbraccia la terra come una mamma il suo bambino.
E sono tanti, troppi i bimbi che, per questa fottuta guerra che ci vede gli uni contro gli altri, sono privi di beni primari. Traditi dalla vita che, come un cannibale affamato, ha divorato affetti che non più torneranno.
Le bombe attraversano il cielo improvvisamente cupo, si schiantano sulle case, trascinano e dilaniano corpi già provati dagli stenti.
In questa follia ho visti piccoli senza gambe e grandi devastati nel corpo e nello spirito; ho visto mamme consegnare i propri figli a militari in partenza, nell’illusoria speranza di salvar loro un futuro che mai potrà esserci.
Pace! Pace, fa eco il mondo. Parole che volano al vento, trasportate, risucchiate come foglie ballerine, sbattute di qua e di là e poi di nuovo nel vortice della morte.
Dio solo sa come sono riuscita a scappare da quello che credevo fosse un orrore per ritrovarmi in un altro forse ancora peggiore.
Pur di mettere in salvo me e mio fratello Uzoma, nove anni appena, i miei genitori avevano dato tutto ciò che possedevano a Yamuro, un cugino di mio padre, uno che, a suo dire, insieme ad altri profughi, mi avrebbe portata in Europa, un paradiso terrestre dove non c’erano né fame, né guerra; dove, la libertà, rendeva tutti uguali.
Era opportuno che andassimo via ed alla svelta, prima che i soldati invadessero il nostro campo. Tirava voce che le ragazze venivano prima stuprate e poi uccise, sotto gli occhi dei genitori che, ahimè, non avrebbero tardato a seguire la stessa sorte; i maschi, invece, arruolati con la forza a combattere gli stessi fratelli.
In un siffatto clima, tutti avevamo paura di tutto… e di tutti, meno che di Yamuro.
“Partiremo stanotte. Fra tre mesi, verrò a prendere i tuoi genitori”.
La verità è che, malgrado le difficoltà insormontabili, tutti noi aspettiamo sempre che ci succeda qualcosa di straordinario”.
Abbandonai la “madre patria” portandomi addosso le lacrime di mia madre. Dopo avermi infilata al collo una catenina dalla quale non si separava mai, si era portata il viso tra le mani, forse per non avere la tentazione di fermarmi. Mai come in quel momento, il mio nome, rispecchiava il mio stato d’animo: soffrivo per amore. Per amore verso i miei, per Umi che non avevo fatto in tempo a sposare, caduto sotto le macerie della sua casa.
Yamuro ci offriva la libertà. Capii subito che, dietro la facciata del bravo ragazzo, si celava un uomo senza scrupoli; uno che per soldi, avrebbe venduto l’anima al diavolo. E, probabilmente, gliela aveva venduta davvero.
La spiaggia che ci accolse era quasi nascosta dietro un arco naturale. Una luna piena la illuminava fortemente per cui si poteva notare una sabbia fine, rossastra, profonda a tratti che rendeva difficile il passaggio. C’erano altre persone, tante e, tutti, con un’aria triste, dimessa, come di chi sa che è condannato a morte, di chi non ha scelta: restare e morire o andare via e morire lo stesso. O forse salvarsi, tanto valeva provarci.
Yamuro cambiò atteggiamento: da gentile e premuroso che mostrava di essere al nostro paese, diventò aspro e saccente. Altri due dalle facce cattive, gli davano man forte. Erano nervosi, andavano su e giù, fino a che non sentimmo il rumore di un motore: un’imbarcazione fatiscente e troppo piccola per sostenere il peso di tutti noi.
Si levarono bestemmie, urla e spintoni fino a che tutti salimmo. Poi il motore riprese a ringhiare come un cane dietro al cancello e ci imbarcammo verso il viaggio della speranza.
Speranza di cosa? Le persone che avrebbero dovuto prendersi cura di noi, gettata la maschera, divennero i nostri aguzzini.
Occupavano l’imbarcazione soprattutto donne e ragazzi, gli uomini adulti erano una minoranza.
Qualche donna era incinta, qualche altra teneva stretto il proprio bambino cantando sottovoce una nenia o attaccandolo al seno sterile per la troppa fame.
Si dice che la guerra sia la più grande vittoria di Satana. Ma, a quanto pareva, Satana era anche in mezzo a noi ed aveva la faccia dei nostri aguzzini, i smugglers, i trafficanti, gli scafisti.
Credevamo di esserci lasciati la guerra alle spalle e la ritrovavamo in mezzo al mare.
Quel che successe, è difficile da raccontare. A volte mi chiedo se quell’inferno l’ho vissuto realmente o se invece è frutto della mia mente improvvisamente impazzita che crea indelebili scene apocalittiche.
Ad un certo punto, Yamuro e la sua combriccola, si erano accorti che l’imbarcazione non avrebbe potuto reggere così tante persone, per cui era necessario sacrificarne alcune.
I trafficanti avevano preso posto a prua, comodamente seduti bevevano birra e fumavano un’erba che ricordava gomme bruciate. Ridevano, si strattonavano amichevolmente e, a bella posta, sembravano indecisi su chi buttare a mare.
Qualcuno implorava pietà, altri urlavano in preda al panico e altri, come me, erano impietriti per lo stupore. Non poteva essere vero! Poi lo sguardo di uno degli scafisti si posò su mio fratello. “Cominciamo da questo coniglio, guardate come trema!” Mi aggrappai a Uzoma con tutte le mie forze; nel tentativo di salvarlo, gli conficcai le unghie nella carne ma fu tutto inutile: venne scaraventato in mare tra i sogghigni dei luridi assassini. Poi fu la volta di due donne incinte, di una mamma col bambino e di tre ragazzini che, per farsi forza, si tenevano stretti stretti.
Urlai, supplicai, implorai clemenza. Lasciammo quelle vite in fondo al mare, in pasto ai pesci.
Il dolore devastante, mi fece desiderare di morire. Ero pronta a seguire mio fratello e volontariamente ma una mano afferrò il mio braccio. Fui scaraventata a terra, violentata a turno sotto gli occhi di tutti. Stessa sorte per altre ragazze.
Avevo sognato la mia prima volta come un momento magico, da offrire all’uomo che avrebbe unito la sua vita alla mia, per sempre! Ed invece giacevo in mezzo al mare in un lago di sangue.
Poi si udirono delle sirene, partì qualche colpo di pistola… non ricordo molto, ero come in trance.
Speravo fosse un incubo, mi auguravo di svegliarmi nel mio letto, a casa mia.
I volontari che ci salvarono, si presero cura di me, delle mie ferite fisiche. Quelle morali, si sono erette fedeli compagne a vita.
Dei miei non ho notizia. Non so se augurare loro la morte come antidoto alla sofferenza.
Dopo l’angoscia iniziale, ho cercato di farmi strada nella società che mi ospita. Ce l’ho fatta ad avere un presente.
E questo presente, mi fa combattere per un mondo senza guerre, lutti, miseria. La mia voce parla per chi non ce l’ha, per quelli invisibili, quelli cui le istituzioni fingono di non vedere.
Mi fa essere promulgatrice d’Amore, ambasciatrice di Pace.
Maria Mollo
Non perdere questa opportunità! L’invito è rivolto a tutti, dai neofiti agli scrittori più esperti, non abbiate paura di far sentire la vostra voce!
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Ti aspettiamo nel prossimo numero con nuovi racconti e poesie.