Ospitiamo in questa soffitta una storia un po’ desueta, perché di primo acchito fa pensare alla bonanima del senatur, ma se passate all’autore, che è un napoletano del 1811, un abate benedettino di Monte Cassino, certamente uno studioso, capirete che è davvero un’altra storia.
Anche se, a ben vedere, anzi a ben leggere, una parte dei teorici della Lega lombarda di oggi ha trovato qualche retaggio storico, senz’altro.
Se non altro per la cultura leghista legata alla valorizzazione regionale, nell’era dei comuni dell’alto medioevo.
E’ una storia che viene pubblicata in pieno risorgimento.
Dice Wikipedia: “la Storia leghista s’inseriva nel quadro dell’attività illuminata dei benedettini di Montecassino. A tal riguardo Ernest Renan, che aveva viaggiato in Italia tra il 1849 e il 1850, affermò che, nel declino morale e sociale caratterizzante il Regno di Napoli, la predetta Abbazia emergeva, al contrario, come la culla di un nuovo ed originale movimento intellettuale, sospinto proprio da Tosti, che pure non era riuscito a incontrare. La storia di cui si parla nel libro risale al XII secolo, tempi di Federico Barbarossa, ma è raccontata con cipiglio da un abate pieno di senso e cultura storica. E’ un periodo in cui c’è lo sviluppo del territorio, il passaggio dalle monarchie alle rete dei comuni”.
Un assaggio dal libro.
“Gl’Italiani, a preferenza di ogni altro popolo, ebbero dai cieli una morale individualità oltremodo ricca, come quella materiale, per cui è tanto ricca e bella la patria loro. Essi non ne perdettero mai la coscienza”
“Le molte Repubbliche, che sorsero nel nostro paese, sono il documento più bello della ricca individualità morale degl’Italiani. Piegarsi a monarchia è facile, difficile il reggersi a comune; ed una ordinata Repubblica fu sempre l’opera di una consumata civiltà. Perciò è una vera maraviglia vedere un popolo rotto, sgominato, affranto da straniera barbarie, sorgere confidente su le rovine della Monarchia dei Cesari, ed edificare Repubbliche”.
“E quegli oratori francesi che a ginocchio piegato nel la basilica di S. Marco chiedevano le navi e ‘l senno Veneziano ad espugnare Bizanzio, confessarono all’universo mondo la stupenda individualità italiana. Venezia era una città, non tutta Italia.
Per la qual cosa mentre le grandi monarchie si tenevano sublimi, e la sublimità loro credevano inattingibile dalla tempestata Italia, si videro non solo raggiunte, ma superate in vera potenza da una sola città. Vollero gli Italiani non una corona, ma cento; e l’ebbero.