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Quali vie d’uscita per gli imprenditori in crisi? Parla l’avvocato Antonio Manco

Suicidio per una masseria svenduta all’asta. Quali vie d’uscita per gli imprenditori in crisi?

Sono all’ordine del giorno gesti eclatanti di imprenditori in crisi a causa di procedure esecutive che costringono a vendere, o piuttosto sarebbe meglio a dire a “svendere”, il patrimonio aziendale per poche migliaia di euro.

Un caso recente, drammatico e terribile, è accaduto a Laterza, in provincia di Taranto, dove un allevatore si è impiccato prima dell’arrivo dell’acquirente della masseria, venduta in asta al prezzo irrisorio di € 25.000 a fronte di un valore ben maggiore, pari a 350mila euro.

Non è questo l’unico caso. La cronaca parla sempre più spesso di aziende schiacciate da debiti impossibili da ripagare. Ne parliamo con l’avvocato Antonio Maria Manco.

Al di là delle apparenze, qual è la situazione degli imprenditori?

Grazie al Cielo gli imprenditori che si spingono fino a gesti estremi sono una piccola minoranza. È però anche vero che lo sconforto e, talvolta, la disperazione sono molto più diffusi di quanto spesso si abbia a vedere.

Le aziende fanno fatica a tenere il passo delle multinazionali (Amazon, Ikea, le grandi catene di distribuzione al dettaglio, ecc.), dell’aumento dei costi e della burocrazia, così talvolta devono districarsi nella giungla del mercato senza realmente sperare in effettivi cambi di passo, che le portino a superare la crisi e a rilanciare l’iniziativa imprenditoriale.

Fortunatamente esistono molte imprese sane e in crescita. Tuttavia, soprattutto nel meridione, è diffusa una certa stagnazione.

Nel caso dell’allevatore di Laterza, pensa che sia stato fatto tutto il possibile?

Credo di si. Per quanto sia stato possibile approfondire dalle notizie giornalistiche, la tragedia si è consumata nonostante, sul piano giudiziario, sia stato fatto il massimo. La procedura esecutiva è durata ben dieci anni, segno che i professionisti coinvolti hanno fatto tutto il possibile per gestire le problematiche processuali e magari dilatare i tempi. Anche i creditori – da quanto si legge – sembravano disponibili a trovare un accordo ed a sospendere la procedura. Nonostante ciò, l’esito finale è risultato fatale ed il problema economico non ha trovato soluzioni.

Alla fine, quindi, tutto si riduce ad un problema economico…

Da un punto di vista generale (al di là, quindi, del singolo caso, che non conosciamo a sufficienza) capita frequentemente che le imprese sovraindebitate sperino di affrontare e gestire le azioni dei creditori in maniera passiva, senza ragionare su un vero piano di rilancio economico dell’azienda. Eppure molto spesso la soluzione sarebbe proprio quella di “reinventare” l’impresa.

In altre parole, oggi l’ordinamento consente di accedere a numerose procedure in grado di bloccare pignoramenti e aste giudiziarie; questo però solo a fronte di un progetto che preveda un risanamento aziendale. Non basta fare ostruzionismo nei confronti dei creditori. Laddove possibile, serve un impegno a gestire la ripresa economica, la salvaguardia dei posti di lavoro, la collaborazione con gli stessi creditori. In particolare, gli istituti della composizione negoziata della crisi, del concordato preventivo e del concordato minore servono proprio per gestire questo tipo di situazioni.

Come si può affrontare il problema del debito delle partite iva?

Se dovessimo usare termini medici, si potrebbe dire che il debito delle imprese non è la malattia, bensì – spesso – il sintomo di qualcosa di più profondo. In un mondo complesso come quello odierno le aziende non possono sperare di sopravvivere, e tantomeno di evolversi, senza un buon piano di crescita. L’eccesso di debiti è quindi normalmente la conseguenza di una certa difficoltà delle imprese nello stare al mondo.

La legge, dal canto suo, attribuisce un ruolo fondamentale al concetto di “continuità d’impresa”, privilegiando soluzioni concordatarie (volte al risanamento d’azienda) rispetto a soluzioni liquidatorie (orientate invece allo smantellamento dell’azienda). In questo contesto, è anche possibile accedere a misure protettive, in grado di sospendere le azioni esecutive dei creditori. Tutto però passa da un reale programma di risanamento.

Esiste un problema di cultura imprenditoriale?

È frequente constatare come spesso le imprese, quelle agricole in primis, accumulino debiti su debiti a causa del mancato pagamento di imposte e contributi previdenziali. Ciò normalmente significa che l’attività svolta da tali imprenditori non è economicamente sostenibile e che la prosecuzione dell’attività è possibile solo a costo di non ottemperare agli impegni con il fisco e la previdenza.

Capisco bene che per molti questo stato di cose sia quasi inevitabile. Però è evidente come un approccio di questo tipo non sia – sul lungo periodo – né economicamente sostenibile né utile alla collettività. Soprattutto, tali imprese sono inevitabilmente condannate al nanismo, a non crescere ed a non investire sul futuro. Tutto questo è un vero peccato.

Oltretutto in questo modo un importante patrimonio di conoscenze, competenze ed abilità rischia di spegnersi e di non essere tramandato alle future generazioni. Ciò avviene anche perché gli agricoltori, gli imprenditori e gli artigiani della “vecchia scuola”, scoraggiati dall’apparente assenza di valide prospettive, non invogliano le nuove generazioni a portare avanti il loro testimone.

Però è anche un luogo comune che i giovani non vogliano più lavorare…

È un dato comune che i giovani siano spesso restii ad operare nei campi tradizionali dell’agricoltura, dell’artigianato, del commercio, della ristorazione e, in generale, delle professioni tradizionali. Ciò avviene certamente perché oggi esistono anche opportunità differenti e nuove, insospettabili fino a pochi anni fa, soprattutto grazie alla diffusione di internet; d’altro canto, i settori tradizionali appaiono talvolta perdenti, poco ambiziosi, inutilmente faticosi e quindi privi di attrattiva per i giovani. In effetti, perché un ragazzo oggi dovrebbe prendere su di sé un’attività che, almeno apparentemente, appare priva di reali prospettive di crescita?

In tal modo però il territorio, pugliese ed italiano, va inevitabilmente impoverendosi, sul piano economico e culturale. La crisi, però, può anche essere un momento di ripensamento e di rilancio.

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