Principale Rubriche Interviste & Opinioni Digitalizzazione e processo penale. Una relazione possibile?

Digitalizzazione e processo penale. Una relazione possibile?

di Francesca Girardi

Da tempo si sente parlare di “digitalizzazione”, di “IA”, dei suoi vantaggi, dei grandi passi in avanti che sta segnando e segnerà. Si tratta di una vera e propria rivoluzione a cui sembra che nessun contesto della vita possa sfuggire, nemmeno la giurisprudenza.

Al fine di orientarsi in questo tema molto contemporaneo, rivolgiamo alcune domande alla professoressa Daniela Mainenti, Professore Straordinario presso UTIU Università Telematica Internazionale UNINETTUNO, Facoltà di economia e governo di impresa, in diritto processuale penale dei paesi Euro-Ed, Responsabile nazionale Postgraduate studies Fondazione Ymca Italia, Director of The International Seal EEIG, Presidente of RUO Restarci Unit One, Professor of comparative criminal procedure.

Professoressa Mainenti, recentemente è stata relatrice al convegno tenutosi presso il Senato, dal titolo: “IA. Innovazione ed etica nel cuore della rivoluzione digitale”.

Cosa si intende per coinvolgimento dell’IA nel processo penale?

 Ci si riferisce, in particolare, all’uso di tecnologie basate su Intelligenza Artificiale (IA) per assistere o automatizzare varie fasi dell’esercizio della giustizia, in particolare quelle che riguardano il procedimento penale. Diverse applicazioni e funzioni sono interessate, ad esempio la predizione del rischio: algoritmi di valutazione possono analizzare grandi quantità di dati per prevedere il comportamento futuro basandosi su dati storici e rendendo possibile una valutazione preventiva della recidiva di un imputato, determinando le misure cautelari adeguate o le condizioni di rilascio. È possibile, poi, che algoritmi avanzati aiutino ad analizzare e gestire grandi volumi di prove digitali, come comunicazioni elettroniche e dati di localizzazione.

L’IA può essere impiegata anche nell’esaminare immagini e video, rilevare manipolazioni o identificare soggetti; può supportare giudici e avvocati fornendo analisi di precedenti giuridici e suggerendo argomentazioni legali basate sull’analisi di vasti database di sentenze e legislazione.

Un coinvolgimento, quindi, da cui trarre beneficio…

Tutto ciò va, senza ombra di dubbio, verso un miglioramento dell’efficienza complessiva e verso una riduzione del carico di lavoro del personale giudiziario. Gli strumenti basati su IA possono anche supportare i giudici fornendo analisi dettagliate e accesso rapido a casi precedenti e legislazione pertinente, facilitando decisioni più informate e veloci.

Tuttavia, l’uso dell’IA nel processo penale solleva, al contempo, importanti questioni etiche e legali, come la trasparenza degli algoritmi, la protezione dei dati personali, il rischio di bias e discriminazioni, e il diritto all’equo processo.

 Come affrontare tali rischi?

È fondamentale che l’implementazione di tali tecnologie sia accompagnata da adeguate garanzie e supervisioni.

La necessità di trasparenza e responsabilità è cruciale. Gli algoritmi devono essere comprensibili non solo agli esperti di tecnologia, ma anche agli operatori del diritto e ai cittadini per garantire che le decisioni siano giustificate e chiare. Inoltre, se i dati utilizzati per addestrare gli algoritmi di IA contengono pregiudizi, l’IA può perpetuarli, rendendo fondamentale monitorare e correggere i sistemi per evitare discriminazioni.

Si richiede quindi una competenza specifica.

L’adozione dell’IA può cambiare il ruolo dei professionisti legali, spostando le competenze richieste verso la capacità di interagire efficacemente con le tecnologie.

È inoltre essenziale che l’IA non comprometta l’equità del processo giudiziario, con la possibilità per gli imputati di contestare le prove basate su IA e di comprendere le basi delle accuse contro di loro. Ecco perché l’impiego dell’IA deve essere attentamente regolato e supervisionato. La cooperazione tra tecnologi, legislatori, giuristi ed etici sarà fondamentale per assicurare che tale strumento sia utilizzato in modo giusto e trasparente, diventando un aiuto piuttosto che un ostacolo alla giustizia.

I timori verso il coinvolgimento dell’IA sembrano essere reali e, forse, anche “normali” in quanto appartenenti a ogni fase di passaggio verso un’innovazione digitale da esplorare
I timori verso l’impiego dell’intelligenza artificiale (IA) nel contesto del sistema giudiziario, e più in generale nelle varie sfere della società, meritano di essere presi seriamente in considerazione. Sono assolutamente reali e legati principalmente al fatto che l’IA, soprattutto nelle sue forme più avanzate come l’apprendimento automatico e le reti neurali, può essere estremamente complessa e talvolta imprevedibile.

Tuttavia, è anche vero che una certa dose di preoccupazione e scetticismo accompagna comunemente l’introduzione di qualsiasi nuova tecnologia, specialmente quando questa ha il potenziale di trasformare pratiche consolidate e influenzare aspetti critici della vita quotidiana.

Al contempo, significative possono essere le trasformazioni nel mercato del lavoro, richiedendo nuove competenze e rendendo obsolete alcune professioni. Ma se vogliamo guardare a questa svolta, che molti definiscono epocale, a parer mio a ragione, non si può disconoscere che la storia è ricca di esempi di come nuove tecnologie siano state inizialmente accolte con paura e resistenza.

Insomma, i timori associati all’IA sono sia reali sia parte del normale processo di adozione tecnologica. È fondamentale affrontarli in maniera equilibrata, promuovendo uno sviluppo responsabile e una regolamentazione adeguata a massimizzare i benefici dell’IA, minimizzando i suoi rischi.

 La recente riforma Cartabia ha tra le sue finalità, accanto alla digitalizzazione, la riduzione dei tempi di giudizio. Fino a che punto è possibile semplificare, accorciare tali tempistiche?

La riforma Cartabia, portata avanti dall’ex ministra della giustizia Marta Cartabia in Italia, mira a modernizzare e migliorare l’efficienza del sistema giudiziario attraverso varie misure, tra cui la digitalizzazione e la riduzione dei tempi dei processi. Le innovazioni tecnologiche, mediante la digitalizzazione dei processi, possono ridurre significativamente i tempi attraverso l’uso di sistemi elettronici per la gestione dei documenti, per la comunicazione tra le parti e la registrazione delle udienze riducendo il tempo speso in attività amministrative e migliorando la tracciabilità delle procedure.

Tuttavia, ci sono dei limiti obiettivi perché accorciare troppo i tempi potrebbe compromettere la qualità della giustizia, soprattutto se non si lascia sufficiente tempo per la considerazione adeguata delle prove e per la difesa. Non va sottovalutato poi il problema infrastrutturale: non si può diffondere l’uso dell’IA e della digitalizzazione nei processi quando le piattaforme del processo telematico non funzionano. Quindi, seppure la riforma Cartabia punti a un sistema giudiziario più efficiente e moderno, la realizzazione pratica di questi obiettivi richiederà tempo, investimenti continui e collaborazione all’interno del sistema giudiziario.

Spesso si affianca il concetto di IA al concetto di giustizia predittiva. Ci può spiegare questa interazione?

Il concetto di “giustizia predittiva” si riferisce all’uso dell’intelligenza artificiale per prevedere l’esito di cause legali basandosi su grandi quantità di dati storici e su pattern ricorrenti in decisioni giudiziarie precedenti. Si sfruttano algoritmi e tecniche di apprendimento automatico per analizzare i precedenti giuridici e le tendenze in ambito legislativo e giurisprudenziale, offrendo previsioni su come potrebbero essere risolte cause simili in futuro. Le decisioni potrebbero essere guidate o influenzate da previsioni basate su dati. L’idea è che, con una quantità sufficiente di dati analizzati correttamente, un sistema basato su IA possa identificare pattern e correlazioni che possono sfuggire persino agli esperti del settore giuridico.

Anche qui, importanti sono le questioni etiche e legali in temini di trasparenza e spiegabilità specialmente in un contesto giuridico, per garantire la fiducia nel sistema e permettere alle parti di capire le basi delle decisioni che li riguardano.

Tanto si è fatto nella storia del processo penale per non smarrire la persona, l’essere umano, dando attenzione anche all’aspetto educativo della pena. L’IA potrebbe rappresentare un pericolo per tutto l’impegno e il lavoro svolto in tal senso?

Un rischio significativo è che l’IA, trattando grandi volumi di dati e identificando pattern, possa portare a una depersonalizzazione del processo giudiziario con un affidamento eccessivo su valutazioni e previsioni algoritmiche, con la possibile conseguenza di ridurre l’attenzione verso le circostanze uniche e personali di ciascun imputato. L’IA può anche perpetuare o amplificare pregiudizi esistenti nei dataset su cui viene addestrata. Se non adeguatamente controllata, questa tendenza potrebbe portare a decisioni giudiziarie che non riflettono un trattamento equo e giusto di tutte le persone, indipendentemente dalla loro etnia, genere o background socioeconomico.

Un approccio troppo tecnocratico e standardizzato guidato dall’IA potrebbe non riuscire a tenere conto della funzione rieducativa della giustizia penale, focalizzandosi invece su efficienza e predizione del rischio di recidiva senza un’adeguata considerazione delle possibilità di riforma e riabilitazione del singolo. A mio sommesso parere, è essenziale e cruciale implementare e mantenere rigorosi meccanismi di controllo e revisione degli algoritmi di IA per assicurare che operino in modo giusto e non discriminatorio.

Fondamentale è che le decisioni cruciali, specialmente quelle relative alla libertà individuale, restino sotto la responsabilità del giudizio umano.

Il coinvolgimento dell’IA apporterebbe modifiche anche nel percorso di formazione, in generale, e di formazione in diritto penale, in particolare?

L’adozione dell’intelligenza artificiale nella formazione, compresa quella in diritto penale e, molto di più quella del mio ambito disciplinare, ovvero il diritto processuale penale, può apportare modifiche sostanziali e miglioramenti nei modi in cui gli studenti accedono e interagiscono con i contenuti educativi. L’incorporazione dell’IA potrebbe ulteriormente trasformare e personalizzare l’esperienza educativa dei percorsi formativi.

Al contempo, però, è essenziale affrontare con attenzione anche le sfide associate, come la privacy dei dati degli studenti, la sicurezza delle informazioni e il rischio di dipendenza eccessiva dalla tecnologia.

Assicurando che l’IA sia utilizzata in modo etico e responsabile, si possono massimizzare i suoi benefici per arricchire e potenziare l’educazione, mantenere un alto livello di professionalità e competenza nella formazione, particolarmente in settori specializzati come quello relativo al mio ambito scientifico disciplinare.

Si potrebbe poi aprire un altro capitolo sul tema della sicurezza della raccolta dati e passaggio di informazioni, altro tema oggi molto dibattuto…

Assolutamente, la sicurezza della raccolta e del trasferimento dei dati è fondamentale per proteggere la privacy degli individui e mantenere la fiducia nel sistema tecnologico. È un argomento di grande rilevanza, specialmente all’epoca dell’intensificazione dell’uso delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale in vari ambiti, compreso quello educativo.

Le leggi sulla protezione dei dati, come il GDPR nell’Unione Europea, impongono standard rigorosi per la raccolta, l’uso e la trasmissione dei dati personali. Le organizzazioni devono assicurarsi di rispettare queste normative per evitare sanzioni legali e danni reputazionali. Purtroppo, però, i dati digitali sono vulnerabili a una varietà di minacce, tra cui attacchi informatici, phishing, ransomware e altre forme di cybercriminalità.

La sicurezza robusta è cruciale per prevenire l’accesso non autorizzato e la perdita di dati.

La consapevolezza può prevenire molti attacchi informatici che sfruttano l’ingenuità o la negligenza altrui. Affrontare proattivamente i rischi di sicurezza e adottare misure adeguate non solo protegge le informazioni importanti, ma rafforza anche la fiducia nell’uso delle tecnologie digitali, soprattutto in un contesto così tanto delicato e complesso come il processo penale.

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